Algeria: “martirio d’amore”

Algeria: “martirio d’amore”

Un “martirio d’amore”. In un’omelia del Giovedì Santo, padre Christian de Chergé definiva così la testimonianza estrema di Cristo sulla croce. E un martirio di amore e fedeltà al Vangelo e all’Algeria fu quello dei monaci trappisti, rapiti (e poi uccisi) esattamente vent’anni fa. Il loro ricordo nelle parole dei vescovi, insieme a quello degli altri dodici martiri di quel Paese

«La testimonianza di Gesù sino alla morte, il suo “martirio”, è un martirio d’amore, amore per l’uomo, per tutti gli uomini, anche di ladri, assassini, carnefici… Il martirio include il perdono…». Così diceva Christian de Chergè, priore del monastero di Tibhirine, nella sua omelia del Giovedì Santo, nel marzo 1994.

Insieme ad altri sei confratelli, venne rapito due anni dopo, nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996. Esattamente vent’anni fa. Ma il ricordo dei monaci – così come quello di tutti i 19 martiri d’Algeria – è ancora vivo e continua a essere una luce non solo per la piccola Chiesa di quel Paese, ma per tutta la Chiesa universale.

In attesa delle celebrazioni, che si svolgeranno a metà aprile in Algeria, i vescovi di quel Paese indirizzano a tutti i fratelli e le sorelle che continuano a vivere sul posto (non senza difficoltà) e a tutti gli amici sparsi per il mondo il loro ricordo di queste 19 vite donate, che si mescolano a quelle di moltissimi algerini uccisi durante gli anni bui della guerra civile.

Leggi qui anche la testimonianza di padre Jean Marie Lassausse, prete della Mission de France, che si occupa del monastero di Tibhirine da quindici anni e che è stato ospite del Pime di Milano lo scorso 2 marzo per una conferenza del ciclo di Quaresima 2016.

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Hanno donato le loro vite (1994/1996 – 2016)

Come molti di voi sanno, la nostra Chiesa d’Algeria ha proposto alla Chiesa universale di riconoscere il martirio dei nostri 19 fratelli e sorelle che, in mezzo alle tante vittime del decennio nero, hanno donato le loro vite.

Sono già passati vent’anni o poco più. Si chiamavano Henri e Paul-Hélène, Esther e Caridad, Odette, Charles, Christian, Alain e Jean, Bibiane e Angèle, Christian, Christopher, Michel, Célestin, Bruno, Paul e Luc, Pierre.

Perché ricordare? Nella tradizione biblica, fare memoria non è uno sguardo rivolto al passato, ma è la celebrazione di una grazia, un dono che dura nel tempo, in seguito un evento felice o doloroso. Il martirio dei nostri fratelli e sorelle resta una chiamata anche per le nostre vite di oggi.

Non sono morti perché, sotto costrizione, avrebbe rifiutato di rinnegare la loro fede. Il loro martirio è la testimonianza di un amore “sino alla fine”, come per Gesù che «dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine». (Gv 13,1).

È questo il cammino che ci indicano.

In primo luogo, dobbiamo ricordare che il loro numero è piccolo rispetto a tutte le vittime della violenza in Algeria durante il decennio nero. Tra di loro ci sono autentici martiri della verità, della fedeltà alla loro coscienza, dell’amore di Dio e del prossimo. Non possiamo dimenticare gli imam che sono morti per aver rifiutato di firmare delle fatwa che giustificavano la violenza, o intellettuali e giornalisti che hanno denunciato l’abuso della religione o del senso della patria, o il numero ancora più importante di coloro che desideravano, obbedendo alla propria coscienza, continuare semplicemente a fare il loro dovere civico, portare i figli a scuola, soccorrere le persone in pericolo. Fra di loro, come possiamo dimenticare i 13 operai croati uccisi perché cristiani?

Ma in questa lista troppo lunga di vittime della violenza, i nostri 19 fratelli e sorelle occupano un posto speciale. Hanno donato la loro vita per fedeltà al Vangelo, in nome del quale avevano scelto di fare un’alleanza con il popolo con cui hanno condiviso la loro vita. Nel momento del pericolo, hanno scelto di restare perché – dicevano – non si lasciano gli amici, i fratelli e le sorelle quando sono in difficoltà. La fratellanza attraversa le barriere della religione e dell’appartenenza a un Paese. I confini della Chiesa sono quelli della carità che non ha frontiere.

Molti di voi li hanno conosciuti. Le vostre vite seguono le loro orme, discreti servitori del Regno. Che il Signore vi conservi fedeli nel dono quotidiano delle vostre vite per amore di tutti.

La maggior parte di voi, invece, non li ha conosciuti personalmente. Talvolta sentite quelli che sono qui da più tempo evocarli. Libri, riviste e film hanno permesso di conoscerli. È una cosa importante perché la loro storia è la storia della nostra Chiesa, che condivide, per vocazione, il destino del popolo algerino.

La beatificazione dei nostri martiri mette in luce per tutta la Chiesa la vocazione di ogni cristiano a diventare fratello universale. Ed è una felice coincidenza che si faccia memoria del dono della loro vita in quest’anno del centenario della morte di Charles de Foucauld, lui che ha scelto di vivere in modo da essere riconosciuto come fratello da tutti coloro ai quali si era fatto vicino.

Ci prepariamo a vivere le varie celebrazioni nella grazia dell’anno giubilare della Misericordia. Pregheremo per la beatificazione dei nostri fratelli e sorelle. Ma le nostre preghiere saranno preghiere per chiedere perdono e pace per tutti. Fratel Christian, priore di Tibhirine, diceva nella sua omelia del Giovedì Santo, nel marzo 1994: «La testimonianza di Gesù sino alla morte, il suo “martirio” è un martirio d’amore, amore per l’uomo, per tutti gli uomini, anche di ladri, assassini, carnefici… Il martirio include il perdono…». E le nostre preghiere si mescolano a quelle dei nostri fratelli e sorelle musulmani che, molte volte al giorno, invocano Dio clemente e misericordioso.

Siamo convinti, inoltre, che non possiamo separare il nome dei nostri 19 martiri da quello del cardinale Duval. Ha emesso il suo ultimo respiro il giorno in cui ha appreso della morte dei nostri fratelli monaci, accompagnandoli così sino alla fine. È stato sempre vicinissimo a tutti, invitandoci a essere saldi nella costanza. Aveva donato tutta la sua vita alla Chiesa per tutto il suo popolo.

Come Gesù, il testimone fedele, tutti hanno donato le loro vite e sono più che mai nostri compagni e compagne lungo le strade delle nostre esistenze di oggi.

I vostri fratelli vescovi

+ Paul Desfarges, amministratore apostolico di Algeri e vescovo di Constantina et Ippona

+ Claude Rault, vescovo di Laghouat-Ghardaïa

+ Jean-Paul Vesco, vescovo di Orano