Africa orientale: di nuovo incubo fame

Africa orientale: di nuovo incubo fame

Secondo la Fao, «oltre 17 milioni di persone»  rischiano di morire di fame in Africa orientale. Tra le cause, siccità, guerre e land grabbing. Ma anche il colpevole ritardo dei governi e delle organizzazione umanitarie. Che in Somalia, però, non possono ancora mettere piede

 

«Non fermiamo più chi vuole raggiungere altri luoghi, la gente è libera di andare». Sono le sorprendenti parole del jihadista somalo Sheikh Suldan Aala Mohamed, a capo del Comitato per la siccità formato dai militanti islamici di al Shabaab. La crisi umanitaria in Somalia, infatti, è ormai talmente grave che persino i terroristi islamici stanno adottando delle misure particolari per contrastarla, sebbene non vogliano ancora dare accesso agli aiuti umanitari nei loro territori. «Circa 3 milioni di somali si ritroveranno in una situazione di emergenza a causa dell’acuta insicurezza alimentare tra ora e giugno – hanno affermato questa settimana le Nazioni Unite -. La siccità in corso ha portato ad alti livelli di sfollati interni ed esterni rendendo sempre più urgente l’assistenza umanitaria per salvare vite umane e il bestiame».

Le agenzie Onu e le varie organizzazioni non governative internazionali stanno pianificando l’invio di nuovi finanziamenti se la stagione delle piogge sarà molto scarsa anche quest’anno tra aprile e giugno. Da diverse settimane in gran parte dell’Africa Orientale e del Corno d’Africa milioni di persone rischiano infatti di morire di fame e sete ogni giorno.

La fascia della sete e della carestia, Avvenire 17 marzo 2017

 

«Circa 24 milioni di civili potrebbero morire se non arriveranno gli aiuti entro le prossime settimane – recitava un recente appello dell’Igad, l’autorità regionale dell’Africa orientale -. I nostri dati stimano che almeno 11,2 milioni di queste persone versano ormai in gravissime condizioni».

Le cause sono diverse. Innanzitutto, il cambiamento climatico. Fenomeni come La Niña e El Niño, legati ai cicli di variazione delle temperature dell’Oceano Indiano, hanno provocato l’anno scorso una forte scarsità di piogge, rendendo minime le coltivazioni. «Le reazioni dei governi avvengono spesso in ritardo: i finanziamenti sono pochi e c’è poca volontà di adottare le misure appropriate», sono i commenti di molti operatori umanitari sul campo. Tale ritardo nell’intervenire causa inoltre un aumento dei prezzi del cibo. Infine, molte delle aree più colpite dalla crisi sono spesso interessate da gravi fenomeni di land grabbing o sono in zone di guerra o, comunque, molto insicure, .

Secondo l’Organizzazione Onu per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), in Africa orientale ci sono attualmente «oltre 17 milioni di persone»  profondamente affetti dall’insicurezza alimentare. «Quasi tutto il territorio della Somalia non ha cibo e acqua sufficienti alla sua popolazione – conferma la Fao –. Ma la situazione è allarmante anche per gran parte del nord e del sud del Kenya, per il nord dell’Uganda, per zone estese dell’Etiopia e per diverse regioni sudsudanesi».

Il conflitto civile in Sud Sudan, iniziato nel dicembre del 2013, sta rendendo impossibile contrastare la carestia, annunciata nel Paese il mese scorso. Era la prima volta in sei anni che nel mondo si pronunciava la parola “carestia”. «Oltre 5 milioni di sudsudanesi hanno urgente bisogno di aiuti umanitari – confermano i dati più recenti -. Almeno 1,2 milioni di civili si sono invece rifugiati negli Stati limitrofi». Gran parte dei profughi si sta spostando in Uganda ed Etiopia, dove i campi hanno seri problemi di capienza. Soprattutto donne e bambini stanno morendo persino durante il cammino, mentre i mercati delle varie località hanno prezzi troppo alti o mancano totalmente di cibo. Le zone che hanno più bisogno di aiuti si trovano nel sud-est del Paese.

In Etiopia, le autorità stanno distribuendo cibo alle persone e foraggio al bestiame. «Il numero dei civili con urgente bisogno di assistenza è calato del 44% quest’anno – ha affermato il governo -, nonostante ciò, si stima che almeno 1,2 milioni di bambini e donne incinte o nel periodo di allattamento avranno bisogno di cibo supplementare».

Chege Ngugi, a capo dell’organizzazione umanitaria Childfund in Etiopia, ha riferito che: «Stiamo vedendo sempre meno casi di malnutrizione acuta tra i bambini sotto i cinque anni. Comunque – ha continuato l’operatore umanitario -, le scarse piogge di quest’anno ci inducono a pensare che ci saranno altre sfide nel futuro prossimo».