Angola: 40 anni di indipendenza, ma non di libertà   

Angola: 40 anni di indipendenza, ma non di libertà  

 

Il Paese ha celebrato l’11 novembre l’anniversario dell’indipendenza, nell’euforia del boom economico. Ma più della metà della popolazione vive nella povertà estrema. E molti non si vedono riconosciuti i propri diritti fondamentali. Chiesa cattolica compresa

L’11 novembre l’Angola ha celebrato i suoi primi quarant’anni di indipendenza, in un clima di festa e di ottimismo, come mai era accaduto nella sua storia di Paese libero dalla dominazione coloniale portoghese. Eppure questa nuova euforia, supportata da una crescita economica tra le più significative al mondo, nasconde molte ombre.

Certo, il Paese è uscito, nel 2002, da una lunga e sanguinosa guerra civile, che aveva fatto seguito a un’altrettanto lunga e cruenta guerra di indipendenza.

Il boom petrolifero di quest’ultimo decennio ha inoltre contribuito a rilanciare l’economia del Paese e gli investimenti, arrivando a tassi di crescita del Pil che hanno raggiunto la quota record del 23 per cento nel 2017. E anche se ora si è tornati a un modesto +4,7, il Paese continua a mostrare grande dinamismo.

Tutto questo, però, ha accentuato le pratiche cleptomani dell’esigua élite al potere e ha scatenato gli interessi di molti investitori e “avvoltoi “ di tutto il mondo, che hanno visto in questo Paese destrutturato e corrotto la possibilità di fare enormi businnes al limite tra legalità e illegalità. Non per nulla, Isabel, la figlia di Eduardo Dos Santos, l’uomo al potere dal 1979, è la donna più ricca del continente, con un patrimonio stimato attorno ai 3 miliardi di dollari. Mentre più della metà della popolazione continua a vivere sotto la soglia di povertà.

Diritti umani calpestati

Anche sul fronte dei diritti umani e delle libertà fondamentali, l’Angola continua ad arrancare. Le denunce in questo senso vengono da organismi molto diversi tra loro, come Amnesty International e la Chiesa cattolica del Paese.

Amnesty continua a denunciare la presenza di numerosi prigionieri di coscienza, difensori dei diritti umani che vengono non solo incarcerati, ma anche sottosti a violenze, torture e abusi.  Sarebbero attualmente 16 quelli detenuti nelle carceri del Paese, alcuni dei quali avevano iniziato lo sciopero della fame lo scorso ottobre. Per loro Amnesty ha lanciato un appello e una petizione.

Bavaglio alla Chiesa

Anche la Chiesa cattolica angolana, in occasione del quarantesimo anniversario dell’indipendenza, ha pubblicato una lettera dove, tra le altre cose, si chiede al governo che sia garantita la libertà di coscienza e di espressione. La Chiesa stessa, infatti, è colpita da provvedimenti che ne limitano la possibilità di parola. In particolare, la Conferenza episcopale chiede che si possano estendere a tutto il Paese le frequenze di Radio Ecclesia. «Riaffermiamo ancora una volta – sottolinea monsignor Zeferino Zaca Martins, vescovo ausiliario di Luanda – che la mancata espansione del segnale si deve unicamente al rifiuto del governo angolano di concedere una licenza chiesta ormai da 14 anni».

Inoltre, tra le priorità evidenziate dalla Chiesa, emerge innanzitutto la necessità di «ridurre il divario tra chi è estremamente ricco e quanti sono estremamente poveri; promuovere il diritto alla libertà di coscienza, associazione, espressione e informazione, costituzionalmente garantiti, in modo che i cittadini siano in grado di esercitare una cittadinanza consapevole, responsabile e partecipativa; migliorare l’istruzione di base e professionale per superare le tenebre dell’ignoranza e l’oscurantismo che tengono intere comunità intrappolate nelle loro credenze oppressive e atrofizzanti».

Schiavi dei diamanti

Nell’Angola del boom petrolifero ed economico, ancora oggi i garimpeiros (cercatori di diamanti)  continuano a lavorare in condizioni di vera e propria schiavitù, subendo spesso abusi e torture.  I diamanti, che sono stati al centro della lunga guerra civile che ha opposto il governo di Dos Santos ai ribelli dell’Unita, rappresentano ancora oggi uno dei businnes più redditizi nel Paese. Non per nulla molti proprietari delle società minerarie sono generali dell’esercito, i quali sono anche tra i maggiori azionisti delle società di sicurezza, come la Teleservice. Secondo il giornalista Rafael Marques sarebbero responsabili di centinaia di omicidi e casi di torture nei confronti dei garimpeiros, oltre che di espropriazioni illegali di terre e di distruzione di raccolti. Il giornalista, che per le sue inchieste è stato denunciato per diffamazione da otto generali e dalla società mineraria di Cuango, riporta nel suo libro Diamantes de Sangue: Tortura e Corrupção em Angola (“Diamanti insanguinati, corruzione e tortura in Angola”, pubblicato in Portogallo nel 2011) anche casi di  garimpeiros sepolti vivi. Marques rischia fino a 9 anni di carcere e al pagamento di 1,2 milioni di dollari.