Droga, armi e migranti.  Ecco cosa c’è dietro i jihadisti

Droga, armi e migranti. Ecco cosa c’è dietro i jihadisti

Nel cuore del Sahara si incrociano le rotte di tutti i traffici: droga, armi e migranti. E a gestirle sono sempre di più gruppi di terroristi islamici, che da questi “business” traggono le risorse per finanziare le loro operazioni di morte

 

Uomini, droga, armi. Sono infinite le vie dei traffici africani, ma sempre più spesso si incrociano negli spazi immensi del Sahara. Ovvero dove il vuoto si riempie di business e di morte.
Rotte di rabbia e di sofferenza, di affari sporchi e di sporche guerre. Mali, Mauritania, Niger, Ciad, Libia, Algeria, Marocco, Sudan, confini di sabbia, tracciati sulle mappe, violati sulla terra. Ci passa soprattutto quello che non dovrebbe. Rotte di migranti disperati e disposti a tutto, trafficati dai nuovi mercanti di “merce” umana; rotte di contrabbandieri e di cartelli della droga, di armi e di terrorismo, di sequestri e di ribellioni. Gruppi criminali diversi si spartiscono commerci e bottini. Anche tra di loro, tuttavia, i confini labili e fluidi: alqaedisti, banditi, narcos, ribelli, bande giovanili, a volte mischiati gli uni agli altri. È un vuoto pieno il Sahara. Un immenso e inospitale ventre di sabbia e sassi, che cela molte verità e tanti inganni.

Una buona parte della cocaina che si consuma in Europa arriva dal Sudamerica transitando dall’Africa occidentale. Mentre gli oppiacei che arrivano dall’Afghanistan passano dall’Africa Orientale e in particolare dalla Somalia. Le due rotte di incontrano nel Sahel, e in particolare in Mali, oggi di nuovo teatro di un attacco terroristico che mette in crisi tutti i tentativi di stabilizzare il Paese. Ma anche in Niger e Ciad (e in parte in Sudan), queste rotte dove sono gestite da gruppi armati locali, spesso legati ad Al Qaida nel Maghreb o ad altri gruppi terroristici. Già nel 2010, l’allarme era stato lanciato a livello del Consiglio di sicurezza Onu dall’allora direttore del United Nations Office for Drug and Crime (Undoc), l’italiano Antonio Maria Costa, che aveva stigmatizzato il fatto che «le droghe non arricchiscono solo il crimine organizzato. I terroristi e le forze antigovernative attingono risorse dal traffico di droga per finanziare le loro operazioni, acquistare equipaggiamenti e pagare le loro truppe».

Tradizione e tecnologia. Carovane e Internet. Ruderi di camion e mega-aerei. Nel novembre del 2009, un Boeing 727 si era schiantato in fase di decollo su una pista di terra battuta nei pressi di Gao, nel nord-est del Mali. Pare avesse appena scaricato dieci tonnellate di cocaina e altre sostanze illecite provenienti dal Venezuela, “disperse” nel Sahara e dirottate certamente sui mercati europei.

Questi traffici hanno assunto ormai una dimensione nuova, più rapida e perfezionata, favorita anche dalla difficoltà di controllare spazi così sterminati, ma anche a causa della presenza di cellule jihadiste, della ribellione tuareg e di trafficanti vari. La merce – che siano droghe o armi – viaggia poi su camion o pick up insieme a un’altra “merce” molto redditizia: i migranti. Destinazione Nordafrica. Lungo le antiche piste carovaniere, dove un tempo transitava il sale, ora passano coca, armi e disperati.
Non si tratta tuttavia solo di flussi nord-sud. Ma anche est-ovest e viceversa. Con l’arrivo di massicce quantità di eroina dall’Afghanistan sulle coste orientali, si è prodotto una sorta di “scambio”: cocaina dall’ovest in cambio di eroina dell’est. E così oggi si trova molta cocaina anche in Paesi come Sudan, Kenya e Tanzania, mentre l’eroina finisce nei circuiti dell’Africa Occidentale e saheliana, gestiti prevalentemente da nigeriani, che hanno basi sia nel loro Paese che in quelli limitrofi, ma anche in Pakistan (per l’oppio afghano) e in Brasile (per la coca colombiana).

Altre due importanti e preoccupanti novità stanno modificando lo scenario africano. Il continente, infatti, e in particolare alcuni Paesi, stanno diventando non solo zone di transito della droga, ma anche di raffinazione. Questo riguarda, soprattutto Paesi come la Guinea, dove sono stati scoperti laboratori artigianali nel centro di Conakry. Sul posto si producevano anfetamine, ecstasy e si raffinava la pasta base per il crack.

L’altro aspetto di novità riguarda dunque il consumo locale. Un fenomeno cresciuto negli ultimi anni in diversi Paesi africani. Questa escalation interessa soprattutto le bande di microcriminalità giovanile che oggi, per procurarsi la droga, si rendono responsabili di crimini sempre più gravi. Più in generale, la droga ha un effetto destabilizzante sui Paesi in cui transita da tutti i punti di vista, specialmente se i governi sono deboli e manipolabili aumenta la corruzione, infiltra il sistema politico, utilizza le imprese locali per il riciclaggio del denaro, diventa più accessibile alla gente… E quindi ha effetti politici, economici e sociali disastrosi.

Consumo e traffico di droga rappresentano, dunque, due enormi sfide per molti Paesi già estremamente fragili: la loro stabilità è sempre più spesso legata alle vicende del narcotraffico.
Due casi sono emblematici sono la Guinea Bissau a ovest, dove si sono susseguiti colpi di Stato più o meno mascherati, manovrati dai cartelli della droga colombiani; e la Somalia a est, diventata il crocevia privilegiato di ogni traffico: dalla droga ai rifiuti tossici, dalle armi ai migranti. Anche qui l’inquietante collusione tra trafficanti ed estremisti islamici conferma la duplice emergenza che vive oggi l’Africa: quella appunto del narcoterrorismo.

Leggi anche il reportage dal Mali di “Mondo e Missione”