Fede e martirio

Fede e martirio

Due Paesi-simbolo di un’Africa dinamica e in crescita, ma che si porta dietro vecchi e nuovi drammi. Kenya e Uganda sono le prime due tappe del viaggio di Papa Francesco nel continente africano. Che attende soprattutto parole di speranza

 

Dopo Barack Obama, sarà la volta di Papa Francesco. È un anno speciale, questo, per il Kenya, che ospita a distanza di pochi mesi due delle personalità più influenti al mondo. E se quella del presidente statunitense è stata una visita tra ragioni di Stato e legami di famiglia, quella del Pontefice avrà risvolti sia pastorali che “politici”. Con un’attenzione ai temi internazionali e alle grandi sfide dell’umanità, grazie alla visita alla sede delle Nazioni Unite di Nairobi. Un filo rosso che lo porta da New York all’Africa, con lo stesso anelito di libertà, giustizia sociale e rispetto della vita umana.

Quella di Nairobi è la prima tappa di una visita che lo porterà in Uganda e sperabilmente in Centrafrica. Due giorni per ciascun Paese, a partire dal 25 novembre, con un calendario fitto di eventi.

In Kenya, incontrerà i vescovi, ma soprattutto i tanti cristiani che parteciperanno alla Messa a Uhuru Park, il parco della libertà, nel cuore della città. E incontrerà Uhuru Kenyatta, attuale capo dello Stato, figlio del “padre della patria” Jomo Kenyatta, e il Parlamento (“snobbato”, invece, da Obama). Poi la visita alle Nazioni Unite che a Nairobi hanno due importanti sedi: quella del Programma per l’Ambiente (Unep) e quella del Programma per gli Insediamenti Umani (Unhsp), con oltre tremila persone che vi lavorano.

«Siamo sicuri che Papa Francesco porterà un messaggio di speranza soprattutto per i giovani e i poveri – afferma mons. Alfred Rotich -. Quando lo abbiamo incontrato lo scorso aprile, durante la visita ad limina a Roma (visita durante la quale il Santo Padre è stato invitato a recarsi in Kenya, ndr), ci aveva chiesto dell’attacco terroristico di Garissa e ha detto che sarebbe venuto a confortare il popolo del Kenya».

Quello del terrorismo islamista è uno dei temi più “caldi” in questo Paese, che negli ultimi anni è stato colpito brutalmente e a più riprese. Il massacro dell’Università di Garissa, il 2 aprile scorso, non è che l’ultima e la più drammatica della stragi commesse dai terroristi legati al gruppo somalo di Al Shabaab, che hanno ucciso 148 studenti, in gran parte cristiani.

In precedenza, un altro drammatico attacco al centro commerciale West Gate di Nairobi, nel settembre 2013, aveva provocato ufficialmente 67 morti. Molti altri attentati hanno funestato in questi anni soprattutto la regione costiera.

«Abbiamo chiesto ai fedeli di pregare per la visita papale e per la giustizia e la pace fondate sull’amore di Dio», ha detto il presidente della Conferenza episcopale, Philip Anyolo, vescovo di Homa Bay. Il Pontefice, a sua volta, pregherà certamente per i tanti, troppi, poveri del Kenya.

Il 43,4% della popolazione, infatti, continua a vivere sotto la soglia di povertà, in un Paese che non ha particolari risorse del sottosuolo, ma ha una terra fertilissima ed era una delle mete più gettonate del turismo internazionale. Tra corruzione, incapacità e inefficienza, le autorità keniane non si sono dimostrate all’altezza di affrontare non solo la sfida della povertà estrema, ma anche quella educativa, della sanità e delle infrastrutture.

Particolarmente significativa, in questo senso, sarà la visita allo slum di Kibera, una delle più grandi baraccopoli al mondo, con quasi un milione di persone che vivono in condizioni di grave degrado materiale e umano. «Ci saremo anche noi – dice padre Renato Kizito Sesana, missionario comboniano – con i nostri bambini di strada, a testimoniare a Papa Francesco non solo la miseria e la disgregazione familiare da cui provengono, ma anche le grandi potenzialità che ora possono esprimere per costruirsi un futuro dignitoso».

Momento centrale della visita di Papa Francesco in Uganda, saranno invece le celebrazioni per i cinquant’anni della canonizzazione dei martiri di questo Paese. Si tratta di 22 cristiani uccisi nel 1878 perché si erano rifiutati di abiurare la loro fede. Erano stati canonizzati da Papa Paolo VI il 18 ottobre 1964, nella Basilica di San Pietro a Roma.

«Il Santo Padre – ha affermato mons. John Baptist Odama, arcivescovo di Gulu e presidente della Conferenza episcopale dell’Uganda – verrà a visitarci come il Buon Pastore del gregge di Dio, rafforzando la nostra fede e incoraggiandoci, mentre cerchiamo di rivivere il martirio dei nostri antenati nella fede, attraverso il sacrificio per il bene degli altri».

Papa Francesco, che sarà a Kampala dal 27 al 29 novembre, avrà anche un breve colloquio con il presidente Yoweri Museveni, al potere dal gennaio 1986. Una figura controversa sia per le politiche interne, che per il ruolo che l’Uganda sta giocando sullo scenario regionale, in Sud Sudan, e soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo, dove continua il saccheggio di risorse e legname pregiato.

In positivo, l’Uganda potrà invece portare i significativi passi avanti fatti nella lotta contro l’Aids. Complice l’enorme flusso di aiuti arrivati dall’estero (specialmente dagli Stati Uniti), il Paese è tra quelli che hanno invertito più significativamente la tendenza. E la Chiesa ha giocato un ruolo fondamentale, sia in termini di sensibilizzazione che di cura e accompagnamento dei malati e delle loro famiglie.

La prima lettera pastorale sul tema risale infatti al 1989, quando cioè, in molte parti dell’Africa, le popolazioni e i loro governi (ma anche molte Chiese) non credevano neppure all’esistenza della malattia. La lettera venne accompagnata da gesti concreti, a partire dall’aperture in tutte le 19 diocesi di “Hiv/Aids Focal Point Offices”, che lavorano in collaborazione con le strutture di coordinamento sanitario nazionali.

Un tema, invece, che sarà certamente “cavalcato” dai media internazionali, sarà quello dell’omosessualità. Nel dicembre del 2013, infatti, il Parlamento aveva approvato una legge che prevedeva pene sino all’ergastolo per i gay. Legge firmata nel febbraio 2014 dal presidente Yoweri Museveni e poi annullata dalla Corte costituzionale in agosto. Il tema è troppo “succoso” non solo per molti media, ma anche per tanti militanti dei diritti umani, che sembrano usare l’unico parametro dell’omofobia per giudicare il livello di civiltà di un Paese. Dimenticando che in molti contesti, Uganda compreso, si sta ancora combattendo anche per altri diritti fondamentali. A cominciare da quello alla vita. Per tutti. MM