Migrante al contrario

Non solo migliaia di persone che si riversano in Europa. C’è anche chi sceglie di tornare indietro. Per mettersi a disposizione della propria gente.Come ha fatto il dottor Dionisio in Guinea Bissau

«La prima volta che sono andato dal mio villaggi a Bissau, per fare gli esami di ammissione alla scuola media, ho dormito su un marciapiede, perché in capitale non conoscevo nessuno». Quegli esami il dottor Dionisio Cumba li ha superati. E poi molti altri ancora. Nel suo Paese, la Guinea Bissau, ma anche qui in Italia, dove si è laureato in medicina e specializzato in pediatria a Padova. Oggi è il responsabile del reparto di chirurgia della Clinica Bor, alla periferia della capitale Bissau. Uno dei migliori ospedali del Paese, realizzato anche grazie all’impegno dei missionari del Pime.

Uno in particolare, padre Ermanno Battisti – deceduto lo scorso gennaio a Roma, dopo 33 anni di missione in Guinea Bissau – ha presto intuito l’intelligenza brillante di questo ragazzo e la sua determinazione. E così, dal centro di formazione artistica di Bissau, Dionisio si è ritrovato con una borsa di studio per la Facoltà di medicina in Italia.

«Nel maggio del 1991 – ricorda il dottor Cumba – sono partito per l’Italia con l’obiettivo di studiare Medicina che era la mia aspirazione. Solo che ci sono stati dei problemi e così ho dovuto iscrivermi alla scuola per infermieri. L’ho frequentata a Verona, anche grazie al sostegno di alcuni amici. Alla fine del corso, il primario mi ha chiesto perché non avessi fatto Medicina. Gli ho raccontato la mia storia e lui mi ha aiutato». Solo che, anche questa volta, la strada è stata disseminata di molti ostacoli. Dopo un anno in Portogallo, nel ’95 Dionisio torna a Verona. «Per problemi di visto, sono arrivato in Italia il giorno stesso dell’esame di ammissione. Mi sono classificato 14° su 90 iscritti, ma i posti disponibili erano solo 10. Un’altra delusione! Ma non mi sono arreso. Mi sono trasferito a Padova, dove ho cominciato a studiare chimica farmaceutica e, grazie al diploma di infermiere, lavoravo in una cooperativa per potermi mantenere».

A Dolo di Padova, Dionisio conosce il portinaio dell’ospedale, con cui stringe un forte legame di amicizia. Al punto che, insieme a un gruppo di amici, decide di aiutare il giovane studente venuto da un minuscolo Paese dell’Africa. L’anno successivo è finalmente quello buono. «Sono stato ammesso a Medicina a Padova – ricorda il medico -. Il mio sogno cominciava a realizzarsi».

Sono anni duri, di tanto studio e lavoro. Per non parlare dei problemi burocratici di un sistema come quello italiano che non facilita certo l’integrazione. «Una volta laureato nel 2004, si poneva il problema della specializzazione. In quanto cittadino straniero non potevo accedere alle borse di studio e le famiglie che sino a quel momento mi avevano aiutato non potevano pagarmi la borsa , perché solo un’istituzione poteva essere titolata a farlo». A quel punto interviene di nuovo il Pime a fare da garante e il dottor Dionisio ce la mette davvero tutta. «Volevo fare chirurgia pediatrica a tutti i costi, ma a Padova c’era solo due posti. Per poter entrare dovevo fare un esame di ammissione. Eravamo in 20. È stato un momento molto difficile per me. Ho studiato come un pazzo e ho superato lo scritto, classificandomi al primo posto. L’orale però era la parte più difficile. Alla fine mi è capitato un argomento che conoscevo bene. E ce l’ho fatta!».

Durante gli studi, di tanto in tanto, il dottor Dionisio torna nel suo Paese. Nel frattempo, padre Benedetti, insieme a molti amici e sostenitori, stava portando avanti il progetto della Clinica Bor. All’inizio doveva essere solo un Centro nutrizionale, ma poi, un po’ alla volta, prendeva sempre più la forma di un ospedale pediatrico.

«Gli dicevo – continua il dottor Dionisio . che doveva prevedere anche una sala operatoria, perché io sarei tornato. Lui era un po’ scettico. Molti degli studenti che aveva fatto studiare in Europa non erano più tornati indietro. Ma io ero convinto. Ed ho convinto pure lui».

E infatti il dottor Dionisio è tornato. Carico non sono di conoscenze ed esperienza, ma anche di tante amicizie che hanno continuato ad accompagnarlo in tutti questi anni. Durante gli studi in Italia, il dottore Dionisio si è fatto apprezzare da colleghi e superiori. Che lo hanno seguito in questa specie di “flusso migratorio” al contrario. Oggi sono loro che si recano regolarmente in Guinea Bissau, per assistere il dottor Dionisio nella sua attività di chirurgo e garantire missioni chirurgiche specifiche, legate a casi o tipi di operazioni particolari.

«I miei professori in Italia, avrebbero voluto che restassi a lavorare con loro. Gli ho detto che sarei stato più utile nel mio Paese. Non ci potevano credere. Poi uno di loro ha detto che sarebbe venuto con me, il professor Giovanni Franco Zanon di Padova. Pensavo scherzasse. E, invece, dopo tre settimane è venuto con la moglie. Pure lei medico. E, in un certo senso, non se ne sono più andati. Sono rimasti legato a tal punto al progetto, che oggi lei, la dottoressa Giuseppina Torcaso, è la direttrice della Clinica Bor».

Nel 2010 è la volta di un gruppo di Brescia, guidato dal dott. Giovanni Morandi, primario di chirurgia generale della Poliambulanza, da poco in pensione. Tramite lui sono stati trovati anche i fondi per finanziare il blocco operatorio, inaugurato il primo giugno 2010. Poco dopo è arrivato in Guinea Bissau anche il professor Gianfranco Zanon, direttore di chirurgia pediatrica Padova, pure lui da poco in pensione. «È rimasto veramente entusiasta. Ha capito che avevo fatto bene a tornare e che c’erano tanti bisogni. Qui si può veramente fare del bene. Tornato in Italia ne ha parlato con i suoi collaboratori. E così dal 2010, ogni anno, sia l’équipe di Padova che quella di Brescia si “trasferiscono” due volte all’anno a Bor».

Nel frattempo, si sono aggiunti altri amici e collaboratori, sia dall’Italia che dal Portogallo, che garantiscono un supporto competente a quello che era nato come un piccolo ospedaletto di savana.

«Una figura molto importante è quella del dottor Roberto Fagin, neurochirurgo, che dal 2010 viene in Guinea e mi aiuta a curare i bambini idrocefali, che qui vengono letteralmente buttati via. Sono considerati spiriti maligni. Abbiamo fatto una grossa campagna anche in radio e tivù per spiegare che si possono curare. Molti riusciamo a salvarli, anche perché nel frattempo si è diffusa la conoscenza dell’ospedale e la sua fama. È l’unico che fa questo tipo di chirurgia per bambini con problemi pediatrici».

Oggi nella Clinica Bor si eseguono ogni anno circa 19 mila visite di cui 12 mila pediatriche, 1300 ricoveri pediatrici e una media 300/350 interventi chirurgici. L’ospedale ha 34 posti letto e 24 per chirurgia e uno staff di sette medici, compreso un collaboratore e una anestesista, e 18 infermieri.

«Nel mio Paese non ci sono anestesisti – dice il dottor Dionisio -. In Italia sembra impossibile, ma qui è così ed è un problema serio. Senza di loro è impossibile fare qualsiasi tipo di operazione. Ma anche in questo settore ho trovato un aiuto prezioso, la dottoressa Francesca Avogaro, medico in pensione, che è venuta l’anno scorso per tre mesi in Guinea e ha cominciato a formare una dottoressa locale che adesso è diventata autonoma e che mi assiste. Laureata in Portogallo, anche lei deciso di tornare in Guinea Bissau. Non è facile fare questa scelta. Ma entrambi siamo convinti che sia quella giusta».

Le difficoltà non riguardano solo l’aspetto professionale, facilmente comprensibili in un Paese estremamente povero e arretrato come la Guinea Bissau. Ma anche quello personale. Il dottor Dionisio, infatti, è sposato con un’italiana e ha due figli. A Padova. Una vita di famiglia divisa tra due continenti.

«È difficile che in questo momento possano venire qui in Guinea Bissau – dice con un certo dispiacere -; le condizioni di vita sono difficili e gli stipendi troppo bassi. Uno specialista come me arriva a guadagnare dallo Stato 250 euro al mese. Per il momento, cerco di andare in Italia due o tre volte all’anno e di fermarmi un po’ di più in estate. È dura, ma sono convinto della mia scelta. Vedo quello che riesco a fare qui, vedo i moltissimi bambini che sono riuscito a salvare. Anche se mi mancano i miei di bambini, sono certo che sia giusto così».