Uganda: le Chiese si mobilitano per libertà e democrazia

Uganda: le Chiese si mobilitano per libertà e democrazia

Il principale esponente dell’opposizione, Kizza Besigye, resta sotto sorveglianza nonostante gli appelli in suo favore di leader religiosi cattolici e anglicani. Dalle Chiese arriva anche un’offerta di mediazione nella crisi post elettorale, ma nel Paese crescono paura e divisioni

 

La “nuova normalità” dell’Uganda, come l’ha definite l’organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch, si può sintetizzare in un parola: paura. “C’è timore ed incertezza, in molti settori della popolazione, nell’esprimere le proprie lamentele” aveva denunciato già prima della Pasqua il presidente della Conferenza episcopale cattolica, mons. John Baptist Odama, parlando a nome del Consiglio interreligioso ugandese. Era passato poco più di un mese dalle elezioni del 18 febbraio, che avevano confermato alla presidenza della repubblica, dopo 30 anni di potere ininterrotto, Yoweri Museveni.

La vittoria netta del capo di Stato uscente – con oltre il 60% dei voti – è stata confermata dalla magistratura, ma per l’opposizione è stato difficile anche solo tentare di presentare un ricorso. Quello arrivato davanti ai giudici era viziato, secondo lo stesso promotore (Amama Mbabazi, candidato giunto terzo nella competizione) dal misterioso furto di alcune prove, di cui l’uomo politico accusa la polizia. La stessa che da più di un mese sorveglia il principale esponente dell’opposizione, Kizza Besigye. Formalmente il candidato scelto – sempre secondo i risultati ufficiali – dal 35% degli elettori non è accusato di nulla, ma citando possibili minacce per l’ordine pubblico le autorità ne controllano i movimenti fin da giorno del voto.

Messo “in detenzione preventiva” dentro la sua stessa casa, Besigye non l’ha potuta lasciare per oltre 40 giorni: anche l’ordine di ritirare gli agenti dai dintorni della residenza – arrivato nelle scorse ore direttamente dal capo della polizia ugandese – sembra essere stato applicato solo formalmente. Le visite che l’oppositore può ricevere restano limitate e persino alcuni suoi stretti collaboratori sono stati perquisiti appena dopo aver lasciato la proprietà. Nei giorni precedenti, invece, ad essere allontanati o tenuti a distanza erano stati giornalisti e persino un gruppo di fedeli anglicani – tra cui due sacerdoti – che avevano intenzione di pregare con lui il giorno dopo la Pasqua.

Alla funzione della domenica, naturalmente, Besigye non aveva potuto partecipare, ma la sua situazione era stata ricordata dall’arcivescovo Stanley Ntagali, che guida la Chiesa anglicana ugandese. “Preghiamo per Kizza Besigye affinché il governo lo liberi”, aveva chiesto il prelato ai fedeli e la stessa richiesta è arrivata anche da un vescovo cattolico, John Baptist Kaggwa della diocesi di Masaka. “Dobbiamo lavorare per unire il popolo del nostro paese”, ha aggiunto quest’ultimo, ricordando come anche fuori dalla capitale Kampala le tensioni crescano: in due diverse località della regione del Ruwenzori sono già una trentina i morti provocati dalle tensioni tra fazioni politiche locali.

I leader religiosi si erano già resi disponibili per una mediazione politica, sia a livello locale che nazionale, ma vedere governo e opposizione intorno a un tavolo resta difficile: non c’è accordo nemmeno sul primo passo necessario alla pacificazione. A Besigye che reclama la sua libertà di movimento, infatti, ha indirettamente risposto il ministro dell’Informazione, Jim Muhwezi, sostenendo che anche il leder della minoranza “ha la responsabilità di contribuire al processo di unificazione del paese”.