Che cosa ci ha lasciato il Papa in Messico

Che cosa ci ha lasciato il Papa in Messico

A qualche giorno ormai dalla fine della visita di papa Francesco padre Ferdinand Komenan, missionario del Pime in Messico, riflette su che cosa lascerà questo evento: «Non ha cambiato il Paese con la bacchetta magica, ma ci ha indicato la strada della misericordia per uscire dai nostri problemi»

 

Dal 13 al 17 febbraio, Papa Francesco ha vivitato il Messico. Ha incontrato bambini, giovani, famiglie, ammalati, carcerati, studenti, emigrati, indigeni, nonché vescovi, politici e membri della societá civile. Voleva toccare con mano le realtà messicane, e anche i messicani volevano ascoltare e vedere il Sommo Pontefice.

Scendendo dell’aereo, il Papa non ha resistito alle folle che scandivano: “vogliamo che il Papa ci dia la sua benedizione”. Rompendo il meticoloso protocollo, il Santo Padre ha abbandonato il tapetto rosso, per un bagno di folla. Strette di mano, baci, abbracci, benedizioni; ed eccolo, con il sombrero in testa, immerso fra i musicisti di mariachi.

È rimasto impresso nei cuori di tutti quell’abbraccio del Papa con Évila Quintana Molinala, una carcerata che ha commosso il mondo intero con il suo discorso.

Con i bambini e i giovani, il Papa ha usato parole semplici, inventando anche neologismi per farsi capire: Per il Santo Padre, la “cariñoterapia” (teneroterapia) e la “ascoltoterapia” guariscono piú di qualunque altra medicina. I bambini hanno bisogno d’amore per crescere, e i giovani vogliono essere ascoltati e capiti.

Alle famiglie, il Santo Padre ha detto: “Preferisco famiglie (…) con ferite, con cicatrici, peró che vanno avanti, perché queste ferite, queste cicatrici… sono frutto della fedeltá, di un amore che non è stato sempre facile”. Il Papa riconosce che l’amore non è facile, ma è la cosa piú bella che un uomo e una donna possano scambiarsi.

Per la prima volta nella storia del Messico, un Papa è stato ricevuto nel palazzo presidenziale. Questo ha provocato l’ira degli avversari politici del Presidente della Repubblica, che si aspettavano dal Papa critiche dure nei confronti del potere invece di abbracci ed incenso. Dicono che con l’accoglienza pomposa e l’attenzione smisurata al successore di Pietro, il Presidente della Repubblica Enrique Peña Nieto, sia riuscito a chiudere la bocca a Francesco. Gli gnostici e altri guardiani della laicità della Nazione messicana hanno interpretato l’ingresso del Papa nel santuario del potere politico come un’intromissione della Chiesa cattolica negli affari dello Stato. Altri hanno espresso il loro timore e tremore di vedere sparire la laicità del potere civile, conquistata dai messicani a prezzo del sangue.

Ma è chiaro che il Papa non è venuto in Messico con la bacchetta magica in mano per cambiare in un solo colpo le realtà messicane. Francesco aveva già precisato: “Non vengo per risolvere i problemi del Messico”, vengo “come missionario e pellegrino che vuole rinnovare con voi l’esperienza della misericordia.”

Con i vescovi ha usato parole incisive. Non ha usato mezzi termini nel dare orientamenti ai prelati. I politici possono fare i loro giocchi sporchi, ma i vescovi devono essere profeti degni di fiducia e credibiltà. Il Santo Padre vuole vescovi con “sguardo limpido”, “anima trasparente” e “volto luminoso”. Francesco ha esortato i vescovi a non lasciarsi “corrompere dal materialismono” e dal “sotto banco”. I vescovi devono essere persone libere di rifiutare “i carri e cavalli dei faraoni attuali”. Devono smettere di aspirare alla grandeza e all’“egemonia”.

Al di fuori delle “cose del Padre” (Lc 2,48-49), dice il Papa, “perdiamo la nostra identità”. Essere testimoni di Cristo, è tutto ciò che il Papa ha chiesto ai vescovi. Richiamando il secondo prefazio di quaresima il Papa ha detto che la sua visita può essere per i vescovi: “un tempo di rinnovamento spirituale, perché si convertano (…) con tutto il cuore, e liberi dai fermenti del peccato vivano (…) sempre orientati verso i beni eterni”. Mai piú vescovi “principi” nella Chiesa dei poveri, dice ancora il Papa.

Parlando alla società civile, il Santo Padre ha esortato a cercare il bene comune invece degli interessi meschini ed egoistici: “ogni volta che cerchiamo il cammino del privileggio o beneficio di alcuni a scapito del bene di tutti, prima o poi, la vita in società diventa un terreno fertile per la corruzione, il narcotrafico, la esclusione (…), la violenza (…) il traffico di persone, il sequestro e la morte”.

Nella sua omelia a Ecatepec, il Sommo Pontefice ha passato al setaccio la situazione del Messico, diagnosticando tre piaghe: la ricchezza, la vanità e l’orgoglio. Resistere a queste tre tentazione può far nascere un Messico nuovo.

Il Papa desidera che il Messico sia “una terra dove non ci siano uomini e donne, giovani e bambini che finiscono nelle mani dei trafficanti della morte”. Si può costruire un Messico nuovo con la buona volontà della società civile, della Chiesa, delle famiglie, dei giovani e dei politici. Il Messico della Madonna di Guadalupe può cambiare.

Il viaggio apostolico e missionario del Sommo Pontefice ha lasciato nei cuori dei messicani parole profetiche e gesti d’amore che fanno sorgere la speranza di un Messico nuovo, un Messico migliore.

A mo’ di conclusione vorrei parafrasare un poema di Jean de Bruyne, adattandolo alle speranze dei messicani:

«Verrá un giorno, in cui i bimbi messicani chiederanno ai loro genitori:
“Cos’è il narcotraffico, la corruzione, il sequestro, il crimine organizzato…?”
E loro risponderanno dicendo:
“Queste parole sono cadute in disuso,
non esistono più queste cose,
perciò sono state cancellate dal dizionario”».