Il cardinal O’Malley «Prima del resto, in ogni migrante c’è un uomo»

Il cardinal O’Malley «Prima del resto, in ogni migrante c’è un uomo»

Le parole di papa Francesco sul confine tra Messico e Usa hanno riacceso i riflettori sulla questione immigrazione che in questo periodo negli Stati Uniti è un tema molto discusso. L’arcivescovo di Boston, Sean P. O’Malley, è intervenuto per commentare la visita del pontefice e ha sottolineato che troppo spesso il dibattito non si concentra sull’identità dei migranti.

 

Le parole e i gesti compiuti da papa Francesco durante l’ultimo viaggio pastorale in Messico – e in particolare nella città di Juarez, proprio al confine con gli USA – hanno attirato l’attenzione di tutto il mondo e in particolare hanno aperto una discussione negli Stati Uniti dove, in piena campagna presidenziale, il tema dell’immigrazione è una delle questioni centrali.

L’arcivescovo di Boston, Sean P. O’Malley ha pubblicato un intervento di riflessione sul significato della visita del papa nel continente, dicendo che la prospettiva entro cui le parole del pontefice devono essere lette non riguarda l’America soltanto ma si muove a livello globale.

Secondo il cardinale, proprio allo stallo entro cui sembra essersi arenata la riflessione sul tema dell’immigrazione, risponde l’intervento di papa Francesco che richiama l’«aspetto umano» di rispetto della dignità e di condivisione che dovrebbe animare chi affronta a livello decisionale la crisi dei migranti e che invece rischia di essere «tagliato alla radice», cancellando l’idea di un’unica comunità umana.

«Troppo spesso – sostiene O’Malley – il dibattito sull’immigrazione si concentra su caratteristiche secondarie come religione, razza, etnia e nazionalità». Questo è un male, in quanto il problema dell’immigrazione parte proprio da una questione identitaria.

«Quello che pensiamo di loro, come parliamo di loro e le scelte che facciamo in politica sono tutte cose che dipendono da come li vediamo. Possono essere chiamati migranti o rifugiati, possono essere descritti come siriani o salvadoregni e identificati come musulmani o cristiani; ma è un errore classificarli subito secondo queste categorie ed è un fallimento della morale chiudere la discussione in questo modo. Nessuno di questi titoli, sebbene possa essere importante a un certo punto, tocca il significato più profondo della crisi immigrazione. Prima di ogni altra cosa in ogni migrante, rifugiato, o in una famiglia in fuga dal pericolo e dalla miseria, incontriamo una persona, con la quale condividiamo la nostra umanità, la nostra vulnerabilità davanti alla guerra, ai conflitti, alla povertà e alla discriminazione».

Il cardinale continua dicendo che presto il problema immigrazione assumerà una dimensione locale, perché quel di cui hanno bisogno migranti e rifugiati sono accoglienza, sostegno e comprensione: tutte attività che impegnano le persone nella loro vita quotidiana.

Ecco perché «la mia speranza e la mia preghiera è che la visita di papa Francesco sul confine di Messico e Usa ci aiuti tutti, di qualunque fede siamo, a concentrarci sulla dignità e sull’umanità. Siamo invitati – io credo – a pensare ancora profondamente al nostro mondo, al nostro Paese, alle nostre convinzioni. Il nostro mondo produce, per forza o per scelta, il fenomeno dell’immigrazione. La nostra nazione deve introdurre una politica che metta insieme compassione e sicurezza. Siamo invitati a sfidare le nostre convinzioni, religiose e razionali, e a usare efficienza e compassione per fronteggiare la crisi del nostro tempo».