Brasile: incubo minerario

ll recente disastro ambientale, provocato dalla rottura di una diga nel Minas Gerais, ha portato nuovamente alla ribalta le gravi conseguenze dell’estrazione mineraria in Brasile. E non solo

 

In Brasile è ancora viva l’eco della tragedia provocata dal cedimento del bacino del Fundão, nel municipio di Mariana, Stato del Minas Gerais. Un avvenimento che è stato considerato, tanto dalla società civile quanto dai media, come il più grave disastro ecologico a livello mondiale. Il crollo di una delle pareti, avvenuto nel primo pomeriggio del 5 novembre durante i lavori di ampliamento della vasca, ha riversato nella sottostante valle di Santarém 62 milioni di metri cubi di fanghi tossici e acque acide di origine mineraria, il doppio rispetto all’incidente avvenuto in Canada nell’agosto del 2014 alla miniera di Mount Polley. Un’ondata di fango che ha investito il villaggio operaio di Bento Rodrigues, posto a 2,5 chilometri di distanza.

Problemi di approvvigionamento idrico, acqua contaminata, persone che hanno dovuto abbandonare la loro casa: sono alcune delle conseguenze di questo crimine ambientale che ha decretato la morte del fiume Dolce, uno dei più grandi del Minas Gerais. La città di Governador Valadares, che conta 278 mila abitanti ed è uno dei principali municipi che ricevevano l’acqua dal fiume, ha proclamato lo stato di calamità pubblica in seguito alla rottura della diga. È opportuno ricordare che nel 2014, nel municipio di Itabirito, sempre in Minas, si era verificata la rottura di un altro bacino, sempre a causa dall’accumulo di detriti di una miniera, provocando la morte di tre persone.

Alcuni ambientalisti hanno richiamato l’attenzione sul ripetersi di incidenti di questo tipo in Brasile, e hanno sollevato questioni alle quali tanto lo Stato quanto le imprese proprietarie hanno fornito risposte inadeguate. Molti studi evidenziano l’aumento, nel mondo, di catastrofi che pregiudicano le fonti di approvvigionamento idrico, con conseguenti costi per il loro recupero e per le popolazioni locali. Tutto ciò avviene perché mancano politiche di sicurezza e di vigilanza adeguate, a fronte di un progresso tecnologico che permette di sviluppare progetti ingegneristici di grandi dimensioni, un tempo impensabili. Se in generale il rischio di incidenti è diminuito con l’avanzare della tecnologia, è, invece, aumentata la loro gravità e la previsione degli scienziati è che continuino ad accadere con una media di un disastro ogni anno. In questo scenario, il Brasile ospita una grande quantità di imprese minerarie, che provocano innumerevoli e ripetute catastrofi ambientali nel cosiddetto “quadrilatero del ferro”, nel quale opera la Samarco.

Negli ultimi trent’anni sono stati registrati diversi disastri ecologici causati dalla rottura di bacini, dighe e sbarramenti per l’accumulo di detriti di imprese minerarie. Alcuni sono di dimensioni simili alla tragedia di Mariana, come viene definito il disastro della Samarco. Basta citare il crollo del bacino minerario della Val di Stava, in Italia nel 1985, il disastro della diga di Banqiao Cina nel 1975, e Mount Polley in Canada nel 2014.

Nonostante sia costato la vita a meno persone rispetto al disastro italiano della Val di Stava, la tragedia brasiliana continua a causare più danni. I rifiuti contaminati hanno percorso 500 chilometri a partire dalla città di Mariana. Incidenti di questo tipo sono più comuni di quanto si pensi, e rivelano grandi deficienze tanto nelle strutture quanto nella loro manutenzione, oltre che nell’inosservanza delle leggi. In Cina, per esempio, nel 1975 il crollo di due grandi dighe fu provocato dalla rottura di 62 strutture secondarie, provocando la morte diretta o indiretta di più di 230 mila persone. La tragedia occorsa in Canada nel 2014, nella città di Mount Polley, è considerata la più grave nella storia di quel Paese. Non ci furono morti, ma 23 milioni di metri cubi di rifiuti si riversarono nell’ambiente circostante.

Sono ancora scarsi i dati sul disastro brasiliano, sull’impatto che ha avuto e che avrà in futuro sull’ambiente. Prova di ciò è la difficoltà che sta avendo il governo nello stabilire il valore della penale che la ditta responsabile del danno, la Samarco, dovrà pagare. Un’altra difficoltà è quella di elaborare un piano di azione per accogliere e aiutare tutte le persone coinvolte direttamente e indirettamente nell’incidente. Il magnesio, uno dei minerali contenuti nel fango, può, per esempio, compromettere lo sviluppo mentale dei bambini, anche se alcuni geochimici affermano che i metalli rimangono imprigionati nel suolo, il che può ridurre il rischio di contaminazione. Un altro problema consiste nello “stoccaggio” dei rifiuti. La formazione di una specie di cemento nel letto del fiume Dolce, può – e già lo sta facendo – compromettere la vita dei pesci e di altri animali presenti nel fiume, fondamentali per il funzionamento dell’ecosistema locale. In Brasile manca soprattutto una maggiore fermezza nell’applicazione delle leggi. Coloro che sfruttano le risorse naturali devono essere obbligati ad atteggiamenti più consoni alla tutela dell’ambiente e alla salute delle persone. Molte sono le responsabilità di quello che può essere definito un vero e proprio crimine ecologico e la tragedia di Mariana le evidenzia con chiarezza. Responsabilità delle agenzie di sorveglianza, dei governi che molte volte chiudono gli occhi. Responsabilità delle imprese che dovrebbero prendere le distanze da un atteggiamento basato sul profitto ad ogni costo e cominciare a guardare il territorio nel quale operano come una “estensione” di loro stesse, assicurando in tal modo all’ambiente rispetto e una gestione sostenibile. Quello di Mariana è considerato il maggior disastro ambientale degli ultimi trent’anni e le sue conseguenze avranno conseguenze per altri cinquanta, nella speranza di poter recuperare le condizioni anteriori al disastro. MM