Venezuela alle urne in un clima infuocato

Venezuela alle urne in un clima infuocato

Domenica si vota a Caracas per eleggere il Parlamento nel mezzo della crisi economica che sta travolgendo la «rivoluzione bolivariana». La Mesa de Unidad Democrática teme un golpe del governo del presidente Nicolás Maduro pur di non riconoscere un’eventuale sconfitta nelle urne

 

Quasi 20 milioni di venezuelani domenica voteranno per eleggere i 167 membri del Parlamento unicamerale, l’Assemblea Nazionale. I sondaggi indicano possibile che i risultati di questa domenica invertano i rapporti di forza tra maggioranza e opposizione rispetto alle elezioni del 2010, quando l’alleanza che sostiene il socialismo chavista ottenne 98 seggi contro i 65 ottenuti dall’opposizione riunita attorno alla Mesa de la Unidad Democrática.

Nonostante la vittoria apparentemente ampia, dato il sistema maggioritario per l’assegnazione dei seggi, in termini proporzionali, in quell’occasione la differenza tra i due blocchi fu appena dell’1%. Confrontandolo con la sequenza di vittorie elettorali di questi anni, il chavismo non sembra affatto in buona salute.

Il clima elettorale é infuocato. La Mesa de Unidad Democrática teme un golpe del governo del presidente Nicolás Maduro pur di non riconoscere un’eventuale sconfitta nelle urne. Il presidente si è dichiarato disposto a scendere in piazza per difendere le conquiste della “rivoluzione bolivariana”, nel corso di esternazioni segnate da non poca ambiguità, nelle quali non ha chiarito in quali circostanze dovrebbe essere difeso il chavismo.

Motivi per essere inquieti non mancano. Uno è la recente condanna di Leopolodo Lòpez, dirigente dell’opposizione, a 13 anni di carcere per i disordini che più di un anno fa provocarono decine di morti in tutto il Paese. Una condanna seguita dalla ritrattazione di uno dei membri della pubblica accusa, fuggito subito dopo il processo a Miami dove ha chiesto asilo politico e ha confessato l’assenza di prove nei confronti di López. Con vari altri esponenti dell’opposizione in stato d’arresto, la settimana scorsa si é verificato l’assassinio di un dirigente dell’opposizione, Luis Manuel Díaz, durante un comizio elettorale al quale partecipava anche Lilian Tintori, la moglie di López.

Mentre la rivoluzione bolivariana perde pezzi sotto i colpi di una grave crisi economica, accentuata anche dalla caduta del prezzo internazionale del petrolio e caratterizzata dalla scarsitá di generi di prima necessitá (oltre che da una inflazione che il Governo stesso stima intorno al 70/80%, ma che si ritiene sia almeno il doppio) la situazione politica ha messo in imbarazzo anche i governi dell’America latina affini ideologicamente al Governo venezuelano, che preferiscono il silenzio e l’azione diplomatica condotta con discrezione. Solo all’ex presidente José Mujica é stato possibile strappare un giudizio negativo sulla presenza di detenuti politici, mentre la presidente del Brasile, Dilma Roussef, a suo tempo, non é andata oltre qualche tentennamento. Piú aperte le reazioni negative dei Paesi di orientamento neoliberale presenti nella regione – e di vari ex presidenti della regione dello stesso orientamento – come la Colombia o il Messico. Mauricio Macri, il presidente eletto dell’Argentina che entrerà in carica il prossimo 10 dicembre, ha già annunciato che chiederà la sospensione del Venezuela da membro del Mercosur, un evidente inversione di marcia a 180 gradi rispetto al tradizionale allineamento di Buenos Aires con Caracas. La proposta è stata rifiutata dalla presidente brasiliana Roussef.

Il segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA, in spagnolo), Luis Almagro, pure lui uruguayano e dirigente di sinistra, ha protestato piú volte per la situazione. Caracas ha opposto un netto “no” alla sua proposta di una missione di osservatori della OEA per le elezioni e rintuzzato i suoi dubbi in merito all’imparzialitá delle procedure elettorali venezuelane. Maduro ha invece accettato una missione di osservatori dell’UNASUR, il blocco che unisce i Paesi sudamericani. La missione ha fatto sapere che osserva un clima polemico ma non ha rilevato indizi che facciano temere un golpe. L’opposizione, da parte sua, ha invitato ufficiosamente un centinaio di osservatori, molti dei quali sono parlamentari.

Sarebbe ad ogni modo sbagliato considerare quello in atto solo come lo scontro politico tra settori democratici e un governo estenuato dalla crisi e dai suoi propri errori ed inefficienze. L’opposizione é spesso legata a settori che rimpiangono un passato di privilegi e di facili guadagni che in quarant’anni, prima dell’avvento della rivoluzione bolivariana, ha mantenuto nella povertá e nel sottosviluppo gran parte della popolazione. Resta in piedi anche in Venezuela il dibattito tra produzione della ricchezza e uguaglianza sociale. Un’equazione che nessuno ha ancora risolto. Almeno da queste parti.