Australia: un profugo alla guida della chiesa

Australia: un profugo alla guida della chiesa

È arrivato in Australia nel 1981 come profugo dal Vietnam. Ora Papa Francesco l’ha nominato vescovo di una delle diocesi più importanti, quella di Parramatta nell’area di Sydney. Monsignor Vincent Long Van Nguyen è già intervenuto sulla questione dei rifugiati clandestini.

Francescano conventuale, già vescovo ausiliare di Melbourne dal 2011, monsignor Vincent Long Van Nguyen, 55 anni, ora ricopre un ruolo di primo piano nella chiesa australiana, dopo la nomina a vescovo di una delle diocesi più importanti, quella di Parramatta nell’area della capitale Sydney.

Vincent Long Van Nguyen è un profugo: è arrivato all’età di vent’anni in Australia dal Vietnam con una sosta di 16 mesi in un campo profughi in Malesia dove dice di aver dovuto convivere “con topi e zanzare in  tende provvisorie”.

Organi di stampa australiani riportano in questi giorni le dichiarazioni di monsignor Long per cui i campi in cui gli immigrati vengono oggi segregati sono delle “prigioni” e “luoghi di angustia, di pena e disperazione per gente che ha già sofferto tanto e a malapena è sopravvissuta in patria e nel percorso di fuga verso l’Australia”.

I centri per immigrati più controversi da alcuni anni sono quelli realizzati dal governo di Canberra sull’isola-stato di Nauru nella lontanissima Micronesia e sull’isola di Manus in Papua Nuova Guinea. Il nuovo vescovo di Paramatta, succeduto al domenicano Anthony Fisher promosso a Sydney nel 2014, intende trasformare le sue opinioni e la sua esperienza personale in azione sociale e pastorale. A suo parere occorre coinvolgere la gente comune ed aiutarla a comprendere il dramma dei profughi, lavorare per dare ai giovani, soprattutto musulmani, spazi di aggregazione e di identità per evitarne la radicalizzazione, promuovere la collaborazione e il dialogo con altri leader religiosi.

Per il vescovo Vincent Long le condizioni di isolamento degli immigrati clandestini sono ingiustamente “dure e crudeli” e a Nauru hanno recentemente portato a due tentativi di suicidio tra i reclusi; mentre in Papua Nuova Guinea la corte suprema ha ordinato lo scorso 26 aprile la chiusura del campo di Manus senza però riuscire a convincere l’Australia della necessità di una soluzione alternativa sul proprio territorio.