Pakistan: aperto il dibattito sulla legge anti-blasfemia

Pakistan: aperto il dibattito sulla legge anti-blasfemia

Alcuni parlamentari pachistani hanno deciso di avviare un dibattito sulla legge anti-blasfemia, usata pretestuosamente per abusi verso le minoranze e i musulmani moderati. Tra sostegni e minacce, è un passo avanti e un segnale che fa sperare

Sostegno da molte parti sta arrivando ai parlamentari pachistani che, con una decisione trasversale alle varie componenti politiche, hanno deciso di avviare un dibattito sulla cosiddetta “legge anti-blasfemia”. Si tratta degli articoli del Codice penale che, nella versione in vigore nel 1987 come strumento per far convergere attorno al potere dispotico del generale Zia ul Haq le simpatie degli islamisti radicali, sono diventati chiave di volta di un sistema di abusi, intimidazioni e infine sopraffazione verso le minoranze religiose. Non solo, anche verso quei musulmani che cercano di tenere vivi ideali di convivenza e unità, pur nel primato della fede islamica maggioritaria, che sono stati alla base della nascita del Pakistan nell’agosto 1947 e della Costituzione.

Al sollievo per quello che molti sperano possa essere l’avvio di un confronto serio che possa confermare lo stato di diritto minacciato dalla volontà degli estremisti ispirati dall’ideologia wahhabita e dal jihadismo globale di imporre la Sharia erga omnes e promuovere all’esterno un’immagine diversa da quella di un paese instabile, culla e promotore del terrorismo, subito si sono però contrapposte rinnovate minacce degli estremisti. Che hanno riguardato anche i giudici, accusati di non usare la piena forza del diritto islamico contro chi vien accusato di oltraggio alla fede musulmana e chiesto l’impiccagione immediata dei condannati in attesa di esecuzione, inclusa la madre di famiglia cattolica Asia Bibi.

Una situazione che rischia di portare ulteriormente il Pakistan sotto il controllo delle forze armate, che per lunghi periodi nella breve storia del paese ne hanno avuto il pieno controllo e che restano, anche nell’immaginario collettivo, custodi di una democrazia limitata ma dai tratti laicisti e filo-occidentali.

Nei giorni scorsi, una risoluzione approvata dall’Assemblea nazionale ha condannato la tragica fine del 23enne studente di giornalismo Mashal Khan, linciato il 13 aprile da una folla di coetanei nel campus dell’università di Mardan perché aveva confutato alcune tesi estremiste sulla comune religione islamica, e ha incluso l’espressa volontà di modificare la legge per evitare ulteriori abusi. Abusi che sono in parte conseguenza proprio dell’ambiguità del sistema giuridico che, di impronta laica nella maggior parte, lascia spazio alle istanze religiose, diventando così uno strumento di volta in volta di oppressione, di abuso o semplicemente di vendetta verso appartenenti a fedi minoritarie o musulmani che rifiutano la deriva integralista.

Sarebbero finora 45 gli arresti connessi con l’aggressione nell’università, anche questo un segnale di reazione dello Stato che per attivisti e legali fa sperare in qualche cambiamento. Come sottolineato da Nasir Saeed, direttore di Centre for legal aid, assistance and settlement, ong con sede a Londra e impegnata a sostenere le spese legali dei cristiani perseguitati in Pakistan, l’impegno espresso dal Parlamento «è una grande notizia, dato che in passato chiunque cercava di parlare di cambiamenti nella legge contro la blasfemia veniva messo a tacere e anche minacciato di morte». «Se fossero stati presi prima provvedimenti e compreso la delicatezza della questione, si sarebbero salvate molte vite di innocenti uccisi per un crimine che non hanno mai commesso. Ma non è ancora troppo tardi per altri», ha ricordato ancora Saeed all’agenzia UcaNews.

 

Al Pakistan Mondo e Missione dedica un ampio approfondimento sul servizio di copertina del numero di Aprile. Leggi QUI