Cina: per genitori e bebè l’etichetta non parla chiaro

Cina: per genitori e bebè l’etichetta non parla chiaro

A un anno dall’introduzione della legge che alza gli standard di sicurezza per i produttori di vestiti per bambini, in Cina la situazione è ancora fuori controllo. Poca chiarezza nelle etichette e zero consapevolezza da parte dei genitori: è quanto emerge dal reportage di Chinanews

Un anno giusto giusto è passato da che il governo cinese ha deciso di imporre – proprio in occasione della giornata internazionale dell’infanzia – precisi standard di sicurezza ai produttori di vestiti per bambini.

Usando le lettere A, B e C, gli industriali cinesi si sono impegnati a suddividere i capi d’abbigliamento in base alla loro funzione e a rispettare condizioni differenti in base alla categoria d’appartenenza. I vestiti di classe A, per esempio, comprendono prodotti tessili per neonati e devono dunque sottostare al regime più stringente, quelli di classe B individuano invece i capi a diretto contatto con la pelle, mentre i restanti appartengono alla categoria C. Su tutine e magliette, inoltre, deve sempre essere indicata l’età per la quale quell’abbigliamento è adatto.

Per la Cina questa norma (la prima del genere a livello nazionale) ha rappresentato la volontà di una stretta sui controlli, con l’obbiettivo di migliorare la qualità dei capi d’abbigliamento e la sicurezza di neonati e bambini in un Paese dove fino all’anno scorso il 10 per cento dei vestiti non rispettava i livelli consentiti di formaldeide.

Tra le novità previste dal protocollo, infatti, vige il divieto di applicare nei vestiti per i bambini al di sotto dei sette anni cordini al collo, bottoni e pure strass appuntiti; ma diventa fuori legge anche l’uso di sei sostanze con funzione plastificante e di metalli pesanti come piombo e cadmio…

Insomma, i piccoli cinesi potrebbero tirare un sospiro di sollievo se non fosse che questi criteri ad oggi non sono applicati a pieno regime. La legge infatti prevedeva un periodo di transizione fino alla fine di maggio 2018 durante il quale i prodotti non etichettati secondo la nuova normativa (perché realizzati prima del 1 giugno 2016) potevano restare in commercio senza incorrere in sanzioni. Tuttavia, a oltre un anno dalla firma di quel decreto, un reportage di Chinanews.com fotografa una vera e propria giungla del sistema di etichette usato dall’industria tessile per l’infanzia ed evidenzia una situazione completamente fuori controllo.

La quasi totalità dei prodotti immessi sul mercato risulta infatti poco chiara per quanto riguarda la catalogazione: i giornalisti di Chinanews documentano che la maggior parte dei produttori di abbigliamento per bambini e bebè si limita a sostenere che i propri capi rispettano il nuovo regolamento, senza però esporre la categoria di appartenenza prevista dal protocollo.

I reporter si sono resi conto anche della disinformazione dei genitori cinesi che dichiarano di non conoscere le norme di sicurezza e di affidarsi nella scelta dei capi d’abbigliamento per i propri figli unicamente al gusto e alla moda. Intervistata durante lo shopping, una mamma ha detto che per i propri figli preferisce i vestiti con il taglio migliore e il materiale più morbido. Altri consumatori prestano invece attenzione alla marca e al prezzo, ma dimenticano di dare un’occhiata all’etichetta. Secondo il sondaggio di Chinanews, il 46 per cento dei consumatori non conosce affatto i requisiti specifici previsti per i vestiti per bambini, mentre l’88 per cento ignora persino i pericoli di certi accessori.

Proprio per questo, lo scorso maggio la China National Garment Association ha pubblicato un libro sulla sicurezza di neonati e bambini cinesi. Nel volume viene denunciato il fatto che l’unica accortezza che i genitori prendono al momento dell’acquisto è quella di preferire vestiti in cotone (93,4 per cento degli intervistati). Per il resto la consapevolezza è ancora bassa e i numeri confermano quanto denunciato da Chinanews, con il 23 per cento dei consumatori che non conosce il protocollo di sicurezza standard in vigore e il 40 che non sa nemmeno che i vestiti possono essere pericolosi per i bambini.

Nonostante la legge, dunque, si può dire che la situazione è drammatica soprattutto considerando il fatto che in Cina ogni anno nascono 16 milioni di bambini. Con la sospensione della politica del figlio unico, il mercato dei prodotti per bambini si è allargato sensibilmente ma a questa crescita non ha fatto seguito un’informazione adeguata. Il risultato è che i consumatori non sono messi nelle condizioni di conoscere i potenziali rischi che bottoni e perline, così come tessuti chimicamente trattati, possono avere sui propri bambini. Perché l’ambizioso (e necessario) standard di sicurezza diventi effettivo manca ancora un anno: ma basterà?