AL DI LA’ DEL MEKONG
«Forse sono i bambini a sostenere il mondo…»

«Forse sono i bambini a sostenere il mondo…»

Il mio Natale preparato dall’incontro con alcune donne che come Maria continuano a pronunciare il loro “si”, senza clamore, in povertà di spirito

Kompong Cham, 23 dicembre 2016

«Forse sono i bambini a sostenere il mondo
e gli animali, i cuccioli d’ogni specie.
C’è tanta gioia dentro quei corpi piccoli
tanta di quella preghiera (…)»
1

La Chiesa anche quest’anno ci ha preparati bene al Natale. Con la Scrittura e la sua liturgia. Alcuni giorni fa, per esempio, ci ha offerto il racconto della visita di Maria, in attesa di Gesù, alla cugina Elisabetta, a sua volta in attesa di Giovanni il Battista (Luca 1,39-45); quanto alla liturgia invece, lo scorso 20 dicembre ci ha offerto uno stupendo testo di Bernardo di Chiaravalle nell’ufficio divino di quel giorno.

Penso tutti ricordino il brano della visitazione e in particolare l’istante dell’incontro tra le due mamme quando, all’ingresso di Maria in casa, fa seguito l’immediato sussulto di Giovanni nel grembo di Elisabetta: «Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, – racconta Elisabetta rivolgendosi a Maria – il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo». Nella breve omelia di quel giorno, alla presenza delle nostre tre novizie e di due volontari francesi, ho insistito nel dire che ciò che mette in grado Elisabetta di riconoscere la venuta di Gesù non è un annuncio astratto, un’idea esterna, una teoria campata per aria, ma è il suo stesso corpo che gli attesta la verità, attraverso il sorprendente sussulto di Giovanni. Al punto che gli esplode la domanda «A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?». Non un’idea quindi, ma un corpo, il suo corpo di madre, e il sussulto del bimbo che esprimeva come poteva la gioia dell’incontro con Cristo. In quel momento mi piace pensare che sia Maria che Elisabetta devono aver capito che, si! «forse sono i bambini a sostenere il mondo (…) C’è tanta gioia dentro quei corpi piccoli, tanta di quella preghiera (…)» da poter salvare il mondo intero! Al termine della messa Hill, una delle tre novizie, quella meno brillante e più testona, è venuta a dirmi che «la fede cristiana gli ha preso tutto, gli abita dentro». Poi un lungo silenzio. Ed io capivo che non gli bastavano più le parole, avendo solo «un fagotto di sillabe» – direbbe M. Gualtieri – che «si srotola in canto».2 Trovo che Maria, Elisabetta e Hill, la loro fede, sia ben descritta dalle parole incandescenti del curato di campagna di G. Bernanos: la fede – afferma il curato – «non la ritrovo nel mio povero cervello, incapace d’associare correttamente due idee (…); e nemmeno nella mia sensibilità; e nemmeno, infine, nella mia coscienza. Mi sembra spesso che si sia ritirata, che sussista dove io non la cercherei: nella mia carne, nella mia miserabile carne, nel mio sangue (…), nella mia carne peritura ma battezzata».3

Quanto al testo di Bernardo di Chiaravalle che sono ben contento di segnalarvi in nota4, il grande monaco immagina il drammatico istante che intercorre tra l’annuncio dell’angelo a Maria, «Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù», e il definitivo totalizzante “si” da parte della Vergine. «L’angelo aspetta la risposta: deve far ritorno a Dio che l’ha inviato» – scrive Bernardo – e immagina che tutto il mondo, da Adamo in poi, sia in attesa di quel “si”: «O Vergine, dà presto la risposta (…) Perché tardi? Perché temi? (…) Apri, Vergine beata, il cuore alla fede, le labbra all’assenso, il grembo al Creatore». «Dì la tua parola umana e concepisci la Parola divina, emetti la parola che passa e ricevi la Parola eterna». Poi, finalmente, la risposta: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». Dire di “si” a Dio, alla vita, in ogni circostanza. Provarci ancora in questi giorni a Berlino, ad Aleppo, ed in ogni angolo della terra dove «colui al quale è volto il desiderio di tutte le genti, batte fuori alla porta». Così sia.

Accanto a Maria, Elisabetta e Hill, in questo tempo di attesa altre donne mi portano il Natale. Penso a Phoan, 74 anni, magra come un chiodo che per venire alla messa della domenica percorre 13 km in bicicletta. Andata e ritorno fa 26, ma non ne perde una. Domenica scorsa mi ha raccontato un po’ della sua vita. Si stava pudicamente cambiando la camicetta bagnata di sudore per il tragitto compiuto, per vestire una candida camicia bianca che sempre si porta per il cambio e nel frattempo mi raccontava che per avere di che vivere lavora come lavapiatti, quando i ristorantini vicini la chiamano. Oppure gira con la bicicletta a raccogliere lattine, plastica buttata, scarti di ogni tipo che poi rivende per pochi soldini. Se quel giorno va a lavare i piatti, allora guadagna fino a 2 dollari e mezzo, mentre se va a raccogliere tutto quanto può essere riciclato allora arriva a sfiorare il dollaro. Eppure – mi dice – non ha ragioni per perdere messa. Continua a pronunciare il suo “si”, senza clamore, in povertà di spirito. Anzi, spesso, girovagando alla ricerca degli scarti degli altri, recita persino il S. Rosario, così, come gesto che protegge e accompagna. Ascoltandola ho capito che sono lontano da lei e dalla sua povertà, anche se ne parlo e ne scrivo come se l’avessi raggiunta. No! Me lo dice la buona priora del solito G. Bernanos, quando ammette, lei religiosa e votata al martirio, di essere ancora lontana: «Per povere che si sia ormai, non imiteremo ancora se non da lontano il nostro Maestro; noi non siamo ancora povere come Lui».5 Allora mi chiedo, che cosa posso aggiungere dopo che ho incontrato donne così: come Maria, come Elisabetta, Hill o Phoan? Che cosa posso capire io del pudico candore del Cristianesimo all’opera nell’anima di queste donne così ben descritte da A. Frossard quando, motivando la sua conversione, a proposito di vecchiette simili a Phoan, scrive: «Le guardavo aggrappate al loro inginocchiatoio come ad una scala di Giobbe in miniatura, e mi dicevo che forse era proprio grazie alla fedeltà preservata attraverso le generazioni da vecchiette come quelle che avevo trovato, al momento prestabilito, una religione intatta. Provavo così un profondo slancio di gratitudine verso di loro e verso tutti quelli che avevano salvaguardato la fede (…) per me».6

Tra queste amiche che mi portano il Natale devo mettere anche una mamma di Milano che si chiama Elena. La sua bambina è nata prematura e l’ha chiamata Vera. Come vera è la Vita e vero è Dio che continuamente la crea. Elena mi spiega la vicenda di sua figlia che è «nata PRIMA, prima della vita possibile, nella segretezza dell’universo in formazione», perché fosse concesso a lei mamma di sorprendere Dio nell’atto di creare sua figlia. Per questo Elena può dire di aver intuito in quel parto prematuro «il ricordo primordiale, la sensibilità del primo tocco divino, la prima scintilla d’amore di Dio per l’uomo». Ora Vera sta bene. «Dopo due anni di vita – continua Elena – Vera mi sta aiutando a spiegare lo straordinario miracolo della sua vita e la presenza del mistero da cui proviene».

Vorrei però lasciare a mia mamma l’ultima parola di questa lettera. Perché è il primo Natale senza di lei. Condividendo questa sua assenza con un altro confratello che come me ha perso la mamma recentemente dicevamo una cosa ovvia, ma non banale. «Ora la mamma non c’è più. Non ci cerca più, non telefona più». Tutti i verbi della mamma prima declinati in modo unico e particolare, ora non ci sono più. Oh la mamma! Che sa concentrare il Cielo in poche gesta, sa amarti e cercarti in modo unico, come solo lei sa fare. Sa perdonarti mille volte e mille volte ricominciare ad amarti. Come Maria, come Elisabetta, come Elena. Le mamme sono attesa, speranza, solitudine, silenzio, parto, pianto, cibo, amore, perdono, futuro, carezze e addii. Oh mamma! Sono contento della vocazione e del mio sacerdozio. Nella certezza che «il luogo dove ti ritrovo – e ti ritroverò ogni sera per tutta la vita in questi pochi anni che mi restano – è l’Eucarestia con la quale Cristo, e dunque tu che sei in Lui, venite a me e io a voi».7 Per questo continuo a celebrare la santa messa e spero che ci sia qualcuno che lo possa fare ancora, a Berlino come ad Aleppo, a Milano come a Phnom Penh.

Un caro augurio di buon Natale a tutti e a tutti il mio grazie, ciao!

1 M. GUALTIERI, Fuoco centrale e altre poesie per il teatro, Torino 2003, 93.

2 Ibid., Le giovani parole, Torino 2015, 76.

3 G. BERNANOS, Diario di un curato di campagna, Milano 1998, 104.

4 http://www.gliscritti.it/antologia/entry/287.

5 G. BERNANOS, Dialoghi delle Carmelitane, Brescia 1993, 128.

6 A. FROSSARD, Dio esiste, io l’ho incontrato, Torino 1994, 125-126.

7 R. DONI, Colloquio con Lorenzo, Milano 1992, 17. In morte del figlio.