Isis e Rohingya, gli spettri del Bangladesh

Isis e Rohingya, gli spettri del Bangladesh

Le indagini sulla strage del 1° luglio a Dhaka stanno svelando legami diretti con lo Stato islamico. E si teme che i «combattenti» che rientrano da Siria e Iraq trovino un nuovo terreno di coltura tra i profughi rohingya, che continuano a giungere dal Myanmar

 

In Bangladesh le indagini sul massacro al caffé-ristorante Holey Artisan Bakery – nel quartiere diplomatico di Gulshan a Dhaka lo scorso 1° luglio – confermano qualcosa di più di una infiltrazione del sedicente Stato islamico nel Paese. Una situazione che potrebbe acuirsi, oltre che con il rientro di “combattenti” da Siria e Iraq, anche con la creazione nel Paese di un “santuario” di estremismo armato della minoranza Rohingya perseguitata nel confinante Myanmar o con una crisi dei profughi al confine tra i due Paesi. In Myanmar – infatti – continua la pressione all’esodo verso i musulmani di etnia Rohingya di cui 25.000 hanno passato il confine in meno di due mesi e crescono le critiche per il silenzio della Premio Nobel birmana Aung San Suu Kyi, ora ministro degli Esteri e consigliere nazionale, che ha ragioni nella situazione interna del Paese e in un ruolo ancora determinante dei militari.

La situazione – acuita nell’ultima fase dagli attacchi di militanti di presunta etnia Rohingya contro posti di polizia confinaria in territorio birmano il 9 ottobre e l’uccisione di nove poliziotti – ha un potenziale dirompente per il Myanmar, per il confinante Bangladesh e per tutto il Sud-Est asiatico. Un nuova migrazione massiccia di profughi, da un lato, e la creazione di santuari di militanti di questa etnia in Bangladesh, dall’altro, aprirebbero altri fronti di crisi in un’area fragile e permeabile all’estremismo nonostante l’impegno dei governi. Anche per questo, l’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, “arruolato”  da Aung San Suu Kyi, come consulente per la questione Rohingya, ha visitato nei giorni scorsi le aree interessate dalle violenze e ha avuto un incontro con esponenti delle comunità religiose, tra cui il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon.

Tornando al Bangladesh, le indagini hanno accertato che Tamim Ahmed Chowdhury – l’organizzatore dell’attacco di Dhaka che ha avuto un bilancio di 22 morti, stranieri in maggioranza di cui nove italiani – aveva chiesto e ottenuto l’approvazione all’azione dello “stato islamico”. Le comunicazioni in possesso della polizia scambiate tra Chowdhury e il suo contatto nel gruppo militante, Abu Terek Mohammad Tajuddin Kausar, indicano con chiarezza il “via libera” dell’Isis a colpire stranieri come obiettivo primario. Sarebbe stato proprio Chowdhury a suggerire un attacco a un ristorante frequentato da espatriati.

Gli stessi documenti scambiati tra il trentenne Chowdhury e il trentacinquenne Kausar mostrano inoltre i tentativi di reclutare e finanziare militanti in Bangladesh da parte dell’Isis e complessivamente suggeriscono legami tra lo Stato islamico e militanti bengalesi più stretti rispetto a quanto finora sospettato.

Come per altri Paesi, il timore è che un riflusso dei militanti ora nelle aree di conflitto in Siria e Iraq e in generale un aumento dell’influenza dell’Isis possano avere conseguenze negative su una economia fragile, sostenuta da un’industria tessile e dell’abbigliamento che porta annualmente al Paese 28 miliardi di dollari ed è a sua volta strettamente legata a interessi stranieri. Tra le conseguenze prime di una maggiore influenza estremista, se accertata, sarebbe la fuga delle aziende multinazionali che attualmente utilizzano materie prime e personale locali per la loro produzione.

Questo spiega anche la costante negazione di un radicamento terrorista staniero nel Paese da parte delle autorità, nonostante lo Stato islamico abbia rivendicato dal settembre 2015 la responsabilità di almeno una ventina degli attacchi contro islamisti moderati, intellettuali e media laicisti, cittadini stranieri, esponenti delle minoranze religiose.