Kalai, la «capitale» del traffico di reni

Kalai, la «capitale» del traffico di reni

Tra gli abitanti di un villaggio a 300 chilometri da Dhaka la polizia stima che negli ultimi dieci anni siano avvenuti 200 espianti illegali di organi. Caso eclatante di una piaga che resta diffusissima in Bangladesh

La povertà e la frustrazione per la mancanza di prospettive alimentano in Bangladesh un mercato clandestino dei reni. Una necessità certamente, data la cronica scarsità di organi in un Paese con un’alta incidenza di patologie renali (sono otto milioni i diabetici su 160 milioni di abitanti) con la necessità di almeno 2000 trapianti all’anno. Minore ma concreta la necessità di fegati da trapiantare.

Necessità raramente soddisfatte per vie legali, data la scarsità di donatori ma anche per aderire a una legge che consente la donazione solo tra consanguinei in vita. Da qui un crescente mercato clandestino, che non è solo degli organi, ma anche degli espianti e dei trapianti, che vede l’azione di mediatori senza scrupoli, in crescente misura ex donatori diventati a loro volta procacciatori.

Una popolazione rurale sovente impoverita e a volte costretta a finire nelle mani degli usurai rappresenta una riserva enorme di reni per la rete clandestina, contrastata sulla carta con severità ma allo stesso tempo difficile da controllare e smantellare.

La cessione di un rene può fruttare al donatore fino all’equivalente di 4500 dollari, una cifra equivalente a anni di reddito medio. Una possibilità di dare uno svolta – seppure dolorosa – alla propria vita che è negata a molti che devono accontentarsi di poche centinaia di dollari quando non solo di promesse di intermediari senza scrupoli. Una realtà non nuova, certamente, ma che chiama all’azione, anche per le conseguenze sociali in intere aree del Paese.

Sintomatica è oggi la situazione del villaggio di Kalai, a 300 chilometri dalla capitale, dove dall’inizio dell’anno la polizia stima in una quarantina gli abitanti che si sono sottoposti all’espianto illegale e un totale di forse 200 nell’ultimo decennio. Una dozzina gli abitanti dispersi, probabilmente entrati illegalmente in India per subire un intervento di espianto. Una crescita quindi esponenziale che interroga e preoccupa i responsabili del governo centrale e locale davanti all’estensione di un fenomeno nonostante la lunga azione repressiva.

La più nota quella che ha riguardato il distretto di Jayphurat, dove nel 2011 le autorità riuscirono a smantellare la rete che gravitava sul villaggio e aveva favorito almeno 200 espianti. La più drammatica forse quella del villaggio di Tabaria, presso la città settentrionale di Sirajgunj, al centro della pratica di rapire e uccidere minori per espiantarne organi. Una quindicina le vittime stimate in tutto il paese nel 2013.

L’impegno delle autorità in anni recenti ha portato a alcuni successi, con l’individuazione di trafficanti, personale medico e cliniche sul territorio bengalese, ma ha anche infilato in una clandestinità più accentuata il traffico, che ha sovente i propri terminali all’estero, soprattutto in India, e approfitta di connessioni sul territorio bengalese.