La Corea di Moon, il cattolico venuto dal Nord

La Corea di Moon, il cattolico venuto dal Nord

Chi è il nuovo presidente eletto a Seul e perché la sua elezione può segnare una svolta per il Paese messo in ginocchio non solo dagli scandali ma anche dallo strapotere dei conglomerati industriali e dal braccio di ferro con Pyongyang

 

Con una vittoria senza ombre, il politico democratico e attivista di fede cattolica Moon Jae-in è stato eletto come 19° presidente della Corea del Sud. Le elezioni del del 9 maggio assegnato il 41,08 per cento delle preferenze del 70 per cento degli elettori che si sono recati alle urne, distanziando di 5,6 milioni di voti il più immediato inseguitore, il conservatore Hong Jun-pyo.

I 13,42 milioni di voti ricevuti non solo garantiranno a Moon una base concreta da cui partire in un non facile quinquennio da capo dello Stato, ma consentiranno anche al partito di cui è presidente, quello Democratico unito, di utilizzare l’attuale ruolo dominante dopo la scissione del Partito liberale per aprirsi la strada a ulteriori risultati nelle elezioni per i governatori di provincia il prossimo anno e per quelle parlamentari nel 2020. Di fatto aprendo una nuova fase in un sistema politico dominato per 65 anni quasi ininterrottamente dai conservatori e prima ancora da regimi militari.

Anche questo un “effetto collaterale” della caduta in disgrazia dell’ex presidente, signora Park Geun-hye, e che attende ora, dopo la fine del suo mandato decretato dal Parlamento e approvato dalla Corte costituzionale, di finire davanti ai giudici per le accuse di corruzione, interesse privato e diffusione di notizie riservate. In parte finite (se lei consenziente o meno lo decideranno i giudici) a facilitare i maneggi dei grandi conglomerati industriali e finanziari (chaebol) attraverso la confidente Choi Soon-sil che – hanno invece già accertato gli investigatori – avrebbe sollecitato somme ingenti in cambio di autorizzazioni per ristrutturazioni societarie, dirottate verso fondazioni di patronato presidenziale ma da lei dirette.

La sfida di Moon Jae-in – avvocato, attivista per i diritti umani, politico di lungo corso, fortemente impegnato sulle questioni sociali e per la normalizzazione dei rapporti con il Nord – è anzitutto quella di restituire certezze ai 52 milioni di sudcoreani. Tre sono le linee più urgenti di azione, già evidenziate durante la campagna elettorale: ripristino morale della politica e dell’amministrazione, azione sociale, fine del dominio dei chaebol. Sul fronte internazionale, inevitabilmente la priorità andrà al raffreddamento della crisi nordcoreana e alla revisione dei rapporti con l’alleato statunitense, che a loro volta risentono della poca decifrabilità dell’amministrazione Trump. Primo ostacolo da superare, l’installazione al Sud di batterie del sistema anti-missile Thaad: Moon ha criticato come “non democratica” la scelta unilaterale di Washington (che peraltro da accordi ha il controllo del sistema congiunto di difesa tra i due Paesi) e promesso che sarà soggetta a revisione.

Moon è l’uomo del compromesso ma anche del dialogo: se sul piano dei rapporti con il Nord saranno seguiti i due binari di fermezza e dialogo, in quelli con l’alleato americano cooperazione e sicurezza nazionale andranno di pari passo. Con una marcia in più offerta da una maggiore autonomia dalle politiche Usa che dovrebbe consentirgli di restituire a Seul maggiore visibilità globale e regionale, a partire dai rapporti con Pechino e Tokyo.

Il Nord rappresenta per Moon non solo una controparte necessaria per una pace non ancora firmata dalla fine del disastrosa Guerra di Corea nel 1953, e in prospettiva un partner indispensabile in una economia inter-coreana integrata, ma anche una sfida. Accolta con impegno e ponderatezza equivalenti a quelli della Chiesa cattolica coreana che integra il Nord nell’arcidiocesi di Seul. D’altra parte, la famiglia del neo-presidente è arrivata al Sud profuga dal Nord durante il conflitto e il giovane Jae-in è cresciuto in povertà e in coscienza civica e sociale, fino a guadagnarsi il carcere durante la lotta contro la dittatura militare per poi arrivare all’avvocatura e a ruoli politici anche di primo piano. Esperienze utili anche a incentivare la riunificazione, come negli anni di presidenza di Roh Moo-hyun, di cui fu stretto collaboratore. La presidenza del Partito democratico unificato, infine, gli ha aperto la strada alla massima carica dello Stato e a una nuova fase per il Paese.

A confermarlo, la scelta immediata alla guida del prossimo governo di Lee Nak-yon, abile comunicatore, politico liberale e governatore della provincia con maggiore orientamento democratico.