L’attualità di Matteo Ricci tra Roma e Pechino

L’attualità di Matteo Ricci tra Roma e Pechino

Pubblichiamo il testo della lectio magistralis tenuta ieri da padre Angelo Lazzarotto, missionario del Pime, all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano in occasione del premio Matteo Ricci a lui assegnato per i suoi studi e le sue testimonianze sulla Cina.

 

L’ATTUALITÀ DI P. MATTEO RICCI TRA ROMA E PECHINO

L’importanza unica di padre Matteo Ricci, S.J. (1552-1610),  come apripista di un difficile dialogo inter-culturale e come fondatore della Chiesa in  Cina nell’età moderna, è fuori discussione. Questo mio breve intervento, sulla memoria riservata a lui in tempi recenti, rimane ai margini della sua eccezionale figura.
Come è noto, la breve vita di Ricci nel Celeste Impero gli aveva meritato una stima indiscussa sia in ambito ecclesiale che profano. Lo conferma la prima biografia del “Maestro Ricci” scritta dal confratello bresciano  Giulio Aleni (1582-1649) (1). Li Madou era stato accolto  infatti come una benefica meteora da influenti funzionari della dinastia Ming, tanto che alla sua morte (11 maggio 1610)  l’imperatore Wan-li, con una decisione senza precedenti, offrì una vasta  area per la tomba del Maestro  e residenza ai suoi confratelli.
Purtroppo la lunga e infelice Controversia dei Riti ebbe  ripercussioni negative anche nei rapporti con la dinastia dei Qing, che nel frattempo era succeduta.  E papa Benedetto XIV finì per imporre (nel 1742) a tutti i missionari partenti per la Cina un drastico giuramento, che contribuì ad   offuscare anche la memoria delle gloriose  origini della Chiesa cinese.
A complicare le cose, nel secolo XIX l’arrogante politica delle potenze coloniali diffuse in Cina un clima di ostilità verso tutto l’Occidente, compreso il Cristianesimo. E quando nel 1900 l’imperatrice madre Cixi tentò di salvare  l’ormai decadente dinastia mancese sfruttando  l’irrazionalità delle società segrete, furono migliaia le vittime, anche fra i  cattolici. Nella capitale non fu risparmiata nemmeno  la zona di Chala con la tomba di p.  Matteo Ricci; nella devastazione, purtroppo, anche le sue ossa e le  ceneri furono disperse (2).
Nella prima metà del secolo scorso poi, le complesse vicende della Repubblica di  Cina furono esasperate dall’invasione giapponese. E anche se la Cina riemerse dal  conflitto mondiale al fianco delle nazioni vincitrici,  la situazione pratica non cambiò.  Alla resa delle armate  giapponesi (15/8/1945), seguiva infatti una sanguinosa guerra civile che portò alla sconfitta del Partito Nazionalista Guomindang   e alla nascita della Repubblica Popolare Cinese, proclamata da  Mao Zedong il 1/10/1949. Nel nuovo clima politico, tutti i missionari stranieri, considerati  nemici del popolo, dovettero lasciare il Paese; e la  Chiesa cattolica, pur ufficialmente riconosciuta, rischiò di scomparire del tutto.
Il terreno  di Chala nella capitale  divenne  Scuola per i quadri del Partito,  con un piccolo recinto  riservato all’antico cimitero. E quando Mao scatenò  la cosiddetta Rivoluzione Culturale (1966-76) che  tanti disastri causò alla Cina e al suo popolo, anche le tombe di Matteo Ricci e di altri pionieri della missione furono nuovamente  profanate, questa volta  dalle Guardie Rosse.

NUOVO CLIMA IN CINA DOPO MAO ZEDONG

Dopo la morte di Mao (1976), con la politica di modernizzazione e di apertura al mondo esterno, la figura di Matteo Ricci fu  progressivamente riabilitata. Ricordo che nel maggio 1978, il sen. Vittorino Colombo che guidava  a Pechino una delegazione governativa  italiana,  si sentì libero di esprimere al nuovo leader Deng Xiaoping  il desiderio di  onorare la tomba del connazionale Ricci; Deng, consultatosi,  rispose che non era stata ancora restaurata. Ma l’attenzione per il grande gesuita era riemersa.
La visita del Primo ministro Hua Guofeng in Italia, in autunno dell’anno seguente, diede occasione all’opinione pubblica cinese di riscoprire la grandezza di Li Madou. Il Quotidiano del Popolo di Pechino esaltava  su quattro colonne   Matteo Ricci come “pioniere degli scambi culturali tra Cina e Occidente”.  L’organo ufficiale del Partito Comunista ricordava che, trecento anni dopo Marco Polo, un altro italiano aveva dimostrato concretamente la sua amicizia per la Cina: “Oltre a svolgere la sua attività religiosa, Li Madou si impegnò a fondo  a diffondere in Cina la scienza dell’Occidente e studiò con impegno la scienza e la tecnologia cinesi”. Il prestigioso giornale ricordava che Ricci, primo eminente sinologo, tradusse in latino classici cinesi facendoli conoscere e apprezzare  in Europa,  e per primo trascrisse la lingua cinese per gli stranieri con una fonetizzazione che utilizzava l’alfabeto latino.  In quel lungo articolo di seconda pagina, il Quotidiano elencava anche le principali opere composte da Ricci con la collaborazione di importanti  letterati e politici  cinesi, come il ministro Xu Guangqi, e aggiungeva che il restauro della tomba di Ricci stava per essere ultimato. Era il 4 novembre  1979.  Infatti, il cardinale Roger Etchegaray di Marsiglia,  che l’Associazione per l’Amicizia con i Paesi  esteri aveva invitato, poté  visitarla prima di lasciare Pechino, all’inizio di marzo del 1980.
E quando, nel dicembre 1981,  anche il Sen. Colombo  come presidente dell’Istituto Italo-Cinese ricevette un invito dall’Associazione per l’Amicizia tra i popoli,  il suo responsabile Wang Bin-nan si fece un dovere di includere nel  programma la visita alla tomba di Ricci.  Un funzionario dei Beni culturali che ci accompagnava in quell’occasione spiegò che il  lavoro di restauro aveva incontrato imprevisti ostacoli.  Anche l’archeologo Wu Menglin ritornò sull’argomento scrivendo (il 3 marzo 1982) sul quotidiano di lingua inglese China Daily. Intervistato sulle  difficoltà incontrate per i restauri, disse che si era trattato anzitutto di ritrovare le lapidi tombali che erano scomparse. Quella di Ricci fu rinvenuta in una fossa non lontano dal posto originale; mentre quelle del tedesco Adam Schall e del belga Ferdinand Verbiest, rotte in più pezzi,  furono recuperate in luoghi diversi. La grossa pietra tombale di Ricci aveva resistito alla furia vandalica delle Guardie Rosse, ma l’iscrizione in cinese e latino  vi era stata rovinata a colpi di mazza. Fu necessario quindi che  un artigiano livellasse la lastra di granito e vi incidesse di nuovo i caratteri  cinesi e latini secondo l’antica disposizione (3).

Lasciando l’enclave coloniale di Macao, Matteo Ricci aveva puntato  alla capitale dell’impero, ma vi fu ammesso solo  nel 1601, dopo quasi vent’anni di  peripezie e contrattempi. Il grande  museo di Nanchino ha dedicato un’importante mostra a ricordare le fasi salienti dei 28 anni che Li Madou visse in Cina: prima  a Zhaoqing nel Guandong, poi per poco tempo a Shaozhou e a Nanchang  (nel Jiangxi), e quindi   a Nanchino. Anche il museo cittadino di Zhaoqing ha organizzato una mostra in  onore di Li Madou (2006). Nella  capitale, dove  Li Madou spese il  resto della vita  in una dedizione che non si misurava, egli si spense anzitempo l’11 maggio 1610. E nel giardino della Nantang,  la chiesa del Sud a  Pechino, il  3 dicembre 2006 gli veniva eretta una statua in bronzo, con il beneplacito  del vescovo Michele Fu Tieshan (4). Nell’autunno 2009, anche  la comunità parrocchiale di Jinxian, vicino  alla città  di Nanchang, decideva di erigere una statua accanto alla chiesa dove Li Madou aveva vissuto per un periodo.
All’inizio del 2010, nel quarto centenario della morte, Pechino ospitava nel Museo della Capitale  una ricca mostra intitolata  “Matteo Ricci- Meeting of civilizations in the Ming China”; tale  mostra fu poi trasferita  anche a Shanghai e a Nanchino (5).  Ma a Li Madou  è riservato un eccezionale   riconoscimento ufficiale in Cina, in  quanto la sua effigie  rimane  immortalata nella nuova struttura del Capital Museum, unico  occidentale  insieme all’altro italiano Marco Polo. E questo onore è stato  ripetuto nel fregio in marmi policromi che racconta la storia cinese all’interno del Millennium Centre di Pechino, sede delle riunioni ai massimi livelli del Partito comunista cinese.

QUESTO  IL SUO RICORDO IN  CINA. E IN CASA NOSTRA?

Una svolta fondamentale  si verificò quando  la Santa Sede  rivide la propria posizione restrittiva riguardante i tradizionali Riti cinesi.  Alla vigilia dell’ultimo conflitto mondiale infatti (8 dicembre 1939), mons. Celso Costantini già Delegato apostolico in Cina firmò, con l’approvazione di papa Pio XII, un’Istruzione di Propaganda Fide, in cui  tali riti  erano dichiarati leciti in quanto di natura civile, come lo stesso Li Madou  aveva sostenuto a suo tempo (6). Seguì poi (1942-1949 ) l’edizione nazionale in tre volumi del capolavoro di Matteo Ricci:  Fonti Ricciane: Storia dell’introduzione  del Cristianesimo in Cina; in essa Pasquale D’Elia rivendicava autorevolmente  l’originalità e grandezza del missionario maceratese (7).
Ma nella coscienza popolare, la sua figura rimaneva alquanto vaga, anche in Italia. Tanto che il sacerdote Otello Gentili all’inizio degli anni ’50 poté presentare  una  tesi di laurea all’Università Gregoriana semplicemente ricostruendo la vicenda di  Ricci (8).  Anche Fernando Bortone, S.J., contribuì notevolmente a far riconoscere e  apprezzare in casa nostra Li Madou. E nei decenni più recenti si sono moltiplicati anche studi di alto valore scientifico sulla sua figura e attività. Preziosa l’edizione critica delle principali opere ricciane curata dai  professori Corradini e Mignini per le edizioni Quodlibet di Macerata (9).
Fu comunque nel 1982 che  la figura  di Matteo Ricci s’impose all’opinione pubblica: ricorreva il quarto centenario del privilegio  concesso a lui e al confratello P. Michele   Ruggieri di  stabilirsi all’interno dell’impero cinese. Per celebrare l’evento, l’Università  di Macerata  con il Centro  Studi Ricciani e l’Università  Gregoriana di Roma decisero di organizzare un Convegno storico internazionale.   Papa Giovanni Paolo II  ne approfittò  per inviare al vescovo di Macerata mons. Tarcisio Francesco Carboni (1923-1995) una  sostanziosa lettera autografa di adesione, che ebbe particolare rilievo  su L’Osservatore Romano. E una volta appreso che la seduta conclusiva del Convegno si sarebbe svolta a Roma il 25 ottobre,  il Papa decise di parteciparvi di persona, con  un articolato discorso (10).  Non si può dimenticare che già l’anno prima (nel febbraio 1981), salutando a Manila le comunità della diaspora cinese, il papa polacco aveva esaltato l’eccezionale contributo offerto da Ricci all’inculturazione del messaggio evangelico:  “un’impresa ardua ed esaltante ad un tempo, tanto più se si considerano le connotazioni proprie della civiltà e della cultura cinesi…”. Un contributo, aggiunse Woytila, che può essere paragonato all’opera svolta nei primi secoli della Chiesa dal filosofo e martire San Giustino, da Clemente di Alessandria e da Origene, e  che  “dovrebbe servire di ispirazione a molti” (11).
Al convegno di Macerata e Roma intervennero studiosi  da vari Paesi: purtroppo, nessuno dalla Cina. Io ebbi il privilegio  di parteciparvi dopo un periodo di   permanenza ad Hong Kong che  mi aveva permesso, attraverso varie visite nella R.P.C.,  di constatarvi un  crescente interesse per  la figura di Ricci.  La mia relazione si concentrò quindi sulle “Onoranze  cinesi a Matteo Ricci”. Avevo incontrato poco prima  studiosi dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali  (CASS) di Pechino  impegnati nella traduzione dell’opera  ricciana  sull’introduzione del Cristianesimo in Cina; la pubblicarono di fatto (in due volumi di complessive 705 pagine) l’anno dopo (12). Interessante anche uno studio dello storico   prof. Lin Jinshui di Fuzhou, apparso sulla rivista trimestrale in lingua inglese Social Sciences in China  della stessa Accademia (13).
Anche l’arte ha trovato modo di onorare il grande  apostolo della Cina.  L’Opera  teatrale di Shanghai ha organizzato la scorsa estate una tournée in tre città italiane,  presentando un singolare  episodio della vita di Matteo Ricci e del  ministro Paolo Xu Guangqi (la persecuzione ordita da un eunuco  corrotto, e il perdono offertogli) (14). Il 18 giugno 2009,  veniva presentato in Vaticano in anteprima mondiale il docufiction e libro “Matteo Ricci, un gesuita nel Regno del Drago” realizzato da Gjon Kolndrekaj (15). Quell’importante  docufiction fu proiettato poi all’Unesco e ha avuto ampie risonanze anche  in Cina. Una mostra organizzata in Vaticano, nel Braccio di Carlo Magno, nel centenario della morte, portava il titolo: “Ai crinali della storia. Padre Matteo Ricci fra Roma e Pechino”.

LI MADOU:  UNA LA VITA  ISPIRATA AL VANGELO

Un aspetto della figura di Matteo Ricci che emerge  oggi con particolare evidenza, accanto al ruolo di illuminato mediatore culturale e di fondatore della Chiesa che vive in Cina,  è lo spessore evangelico della sua vita,  cioè la sua santità.  Le  “virtù eroiche di Ricci” erano già state evidenziate da Otello Gentili  attingendo semplicemente  alle  sue lettere;  nelle più recenti edizioni della sua operetta egli ha anche ricordato che  durante il Concilio Vaticano II oltre cento vescovi che  avevano operato in Cina raccomandarono a Paolo VI  che fosse introdotta  la Causa di beatificazione di padre Ricci.  Fu il vescovo di Macerata  mons. Carboni,  profondamente convinto della santità di Li Madou,  ad avviarne il processo a livello diocesano nell’aprile 1984. Risulta che il materiale documentario raccolto  (405 pagine)  fu consegnato all’archivio  dei Gesuiti a Roma, dove  però, stranamente,  la Causa sembrò arenarsi. Solo nel  2010 fu ricostituita a Macerata la commissione del Tribunale Diocesano e,  dopo  altri quattro anni di lavoro,  i faldoni sul processo di beatificazione del  «Servo di Dio» Matteo Ricci venivano consegnati alla Congregazione delle Cause dei Santi a Roma.  Mons. Claudio Giuliodori, che in  quegli anni era vescovo di Macerata  e che salutiamo oggi fra noi come Assistente ecclesiastico generale,  osservava che  “è stato anche grazie al diretto interesse della Segreteria di Stato”, che  quei materiali sono stati recuperati e  la documentazione aggiornata.  Ancora lo scorso anno mons. Giuliodori esprimeva, come   amministratore apostolico di Macerata, l’auspicio che  Matteo Ricci possa presto essere proposto come modello all’intera Chiesa evangelizzatrice.
Anche la Chiesa cinese, oggi tanto provata, esprime lo stesso auspicio.  Il compianto  vescovo di Shanghai mons. Aloysius Jin Luxian (1916-2013), in occasione del quarto centenario della morte del grande apostolo italiano, indirizzava alla diocesi una lettera natalizia intitolata “Canto di Matteo Ricci”, raccomandando ai fedeli di imitarne  le virtù.  E Papa Benedetto XVI, scrivendo  ai vescovi delle Marche nella stessa circostanza,  lo proponeva come “esempio di convergenza tra chiarezza dottrinale e prudente azione pastorale” (16). Nel 2012 la Chiesa di  Shanghai ricordava anche il 450° anniversario della nascita di Paolo Xu Guangqi, il grande  convertito e  amico di Ricci,  che fondò quella comunità cristiana. Il vescovo Aloysius Jin coglieva l’occasione per  proporre,  per quel capodanno lunare, anche  la figura di Paolo Xu come degna di imitazione e  costituiva un centro di ricerche storiche in vista  della sua auspicata causa di beatificazione. Purtroppo, la scomparsa dell’ultranovantenne  vescovo gesuita avvenuta poco dopo (27 /4/2013) ha messo a nudo l’attuale  drammatica crisi della Chiesa cinese. Crisi che è particolarmente evidente proprio a  Shanghai, dove mons. Taddeo Ma Daqin, ordinato come ausiliare  del vescovo Jin,  è da tre anni agli arresti domiciliari, impossibilitato di esercitare  il proprio ministero…
Avviandomi alla conclusione, sento il dovere di rivolgere un  pensiero deferente a quanti  stanno oggi spendendo la vita – proprio nella complessa situazione della R.P.C. – per  realizzare il sogno di Li Madou:  far sì che la millenaria sapienza cinese, arricchita dalla rivelazione del Signore del Cielo, divenga un  luminoso  riferimento per l’intera umanità.  A questi fratelli e sorelle nella fede vorrei dedicare il prestigioso Premio internazionale Matteo Ricci.
E chiudo con un pensiero al grande convertito  Paolo  Xu Guangqi. E’ opinione diffusa che il valore evangelico della  sua vita possa essere riconosciuto dalla Chiesa accanto a quello di padre Matteo.  Il giorno in cui ciò avvenisse segnerebbe un importante passo avanti nel processo di comprensione e mutua stima  tra Pechino e Roma.  Ma è importante che sia data priorità a questa verifica canonica. Con tale convinzione, tanti cristiani amici del popolo cinese si rivolgono con fiducia al Papa Francesco, di cui è ben nota la  stima e il grande amore per la Cina. Essi hanno fiducia che questo sogno di vedere beatificati assieme Matteo Ricci e il suo collaboratore Paolo Xu possa essere realizzato. Per questo contano sulla saggezza ed illuminato coraggio di Papa Francesco.

 

NOTE:

1. Cf:  Giulio Aleni, Vita del Maestro Ricci – Xitai del Grande Occidente (a cura di Gianni Criveller), Brescia 2010,
  
2. Fu il maceratese Giovanni Serra, che allora lavorava in Cina, a risistemare la tomba del grande concittadino, nel 1905:  Cf. Otello  Gentili, L’apostolo della Cina – P.  Matteo Ricci,Tipografia  Poliglotta Vaticana, 1982, p.234.
  
3. Un utile contributo a questo delicato lavoro venne dal prof. Piero Corradini, dell’Università di Macerata, che poté  fornire  a Pechino una copia autentica dell’antica stele  conservata a Macerata; aveva visitato la Cina con Colombo.
  
4. Nell’aprile del 2013, in seguito a  lavori di manutenzione del giardino, la statua di  Ricci è stato  portata fuori della porta principale della Chiesa del Sud.

5. La mostra era stata organizzata dall’Istituto Ricci di Macerata e presentata dapprima in Italia.

6. Cf. Agostino Giovagnoli, “La chiusura della controversia dei riti. –Settant’anni fa l’Istruzione  della Sacra Congregazione di Propaganda Fide”, in  L’Osservatore Romano, 9-10 dicembre 2009.

7. Dell’opera  manoscritta dallo stesso Matteo Ricci  sugli inizi della missione in Cina si era in qualche modo appropriato il confratello d’Oltr’Alpe  p. Nicola Trigault, che l’aveva fatta circolare in Europa  in una edizione latina  da lui firmata.  Solo nel 1911 padre Pietro Tacchi Venturi aveva pubblicato a Macerata una prima edizione integrale del manoscritto ricciano:  Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina”.

8. Otello Gentili pubblicò il frutto della sua ricerca nel 1953 nell’agile volumetto L’apostolo della Cina – P. Matteo Ricci S.J. (1552-1610),  che ebbe due nuove edizioni nel 1963 e 1982.

9. Particolarmente  apprezzabile l’edizione bilingue del “Catechismo” di Ricci – Il vero significato del Signore del Cielo  –  pubblicato a Bologna nel 2013, che evidenzia l’approfondito  dialogo di Li Madou con l’antica sapienza cinese. 
 
10. Anche l’importante discorso del Papa è incluso negli  Atti del Convegno Internazionale di Studi Ricciani: Macerata-Roma 22-25 ottobre 1982, (a cura di Maria Cigliano), Centro Studi Ricciani, Macerata 1984, pp. 286. 

11. Va comunque ricordato che  quando Papa Woytila inviò  una lettera apostolica (il 6 gennaio1982) ai vescovi del mondo  chiedendo particolari preghiere per la  Chiesa in Cina, e poi  (il 19 marzo) presiedette  una solenne Messa in S. Pietro, le strutture “patriottiche” della Chiesa cinese  condannarono quelle iniziative come atti ostili. 
  
12. Peccato che quegli  studiosi  abbiano lavorato sull’edizione latina dell’opera ricciana, quella  divulgata da Nicola Trigault, che a sua volta era stata tradotta in inglese  a New York  da L.G. Gallagher a metà del secolo scorso. Cf. Giuliano Bertuccioli, “La traduzione cinese del <Diario>  di Matteo Ricci”, in Mondo Cinese, n. 52, dicembre  1985, pp. 39-61.  

13. Lin Jinshui, “Matteo Ricci’s Activities and Influences in China”, in Social Sciences in China,  Beijing, vol . 4, n. 3, 1983, pp.169-238.

14.  Il regista di  “Matteo Ricci in Opera” (sviluppata in dieci atti), William Sun, spiegò che aveva scelto quella vicenda  perché colpito dai “profondi valori occidentali” (nel caso, evangelici) dell’accoglienza e del perdono.

15. Accanto a varie personalità del Vaticano, ha preso la parola anche l’ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese in Italia, Sun Yuxi,.  Per l’occasione le autorità vaticane  avevano  avuto l’attenzione di non estendere l’invito al corpo diplomatico presso la Santa Sede, per cui non vi  era presente l’Ambasciatore di Taiwan. 

16 Di Papa Benedetto XVI rimane fondamentale la Lettera apostolica indirizzata a tutti i Cattolici della Cina nella Pentecoste 2007 che affronta in modo costruttivo la vasta problematica che contrappone tuttora la Chiesa alle strutture messe in atto dal potere politico, auspicando una soluzione concordata.