Park nella bufera. Ma è la Corea in crisi

Park nella bufera. Ma è la Corea in crisi

La presidente a picco nei consensi, travolta da uno scandalo con al centro una sua confidente. Ma in profondità la crisi vera è quella dei problemi strutturali dell’economia locale, tuttora nelle mani dei potentati economici e con il debito delle famiglie a livelli da default

 

Affonda la popolarità della presidente sudcoreana Park Geun-hye, scesa al 5%, il livello più basso del mandato quinquennale avviato oltre tre anni fa e il peggiore per un qualunque capo dello Stato del Paese estremo-orientale. Prima donna arrivata alla massima carica del Paese, figlia del generale-dittatore che è riconosciuto come fondatore del moderno Stato sudcoreano, la sessantaquattrenne Park è coinvolta in uno scandalo che ha come protagonista una sua confidente, Choi Soon-sil, che avrebbe usato il rapporto personale e le sue confidenze per interferire negli affari di Stato senza avere alcuna carica ufficiale. Inoltre l’appartenenza della signora Choi a un culto settario ha sollevato il sospetto che anche la presidente sia stata in qualche modo plagiata per favorire gli interessi della setta.

Nonostante le scuse ripetute alla nazione, al Parlamento, ai mass media, Park Geun-hye non ha convinto della sua buona volontà, ancor più in un tempo in cui la sua amministrazione ha tra le priorità ufficiali quella di moralizzare la vita pubblica e di aprire a giustizia sociale e welfare una nazione di fatto nelle mani dei potentati economici. La Samsung, ad esempio, garantisce quasi un terzo dell’intero Pil sudcoreano e vincola una parte ancor più vasta del settore produttivo.

La settimana scorsa Park ha accettato di affidare al Parlamento la scelta del nuovo primo ministro, che si è dimesso con altri esponenti del governo proprio per lasciare spazio alle manovre di recupero di credibilità di Park. Una mossa che rischia, se approvata dall’Assemblea nazionale, di delegittimarne in modo significativo il potere. D’altra parte, le sue dimissioni, pure all’orizzonte, secondo gli osservatori delegittimerebbero la democrazia sudcoreana, dato che alla carica presidenziale si accede per elezione popolare diretta. Un eventuale procedimento di impeachment è frenato dalle indagini in corso. Senza un riconoscimento di coinvolgimento in attività illegali, infatti, la presidente è inattaccabile.

Restano però le proteste di piazza, tra le maggiori degli ultimi anni, che chiedono, insieme all’allontanamento di Park, anche un cambio netto nel Paese. La Legge anti-corruzione entrata in vigore il 28 settembre era sembrata una svolta definitiva per contrastare pratiche diffuse e per troppo tempo tollerate. Al punto che l’undicesima potenza industriale mondiale retrocede regolarmente a livelli poco lusinghieri negli indici della corruzione e della trasparenza.

Sono soprattutto le difficoltà strutturali dell’economia, tuttavia, a preoccupare cittadini e operatori economici: 6,6 milioni di sudcoreani sarebbero “a rischio default”, indebitati al punto da non potere più far fronte ai propri impegni in una realtà dove il debito delle famiglie supera il 160% del reddito disponibile.

Tra le priorità che si era data l’amministrazione Park era la riqualificazione e il ridimensionamento degli immensi conglomerati produttivi (chaebol) che, se sono stati per anni il “motore” della crescita, hanno però condizionato una larga parte delle scelte commerciali e strategiche del Paese. Il rapporto strettissimo tra politica e settori produttivi è una “catena” che va spezzata per portare il Paese a una condizione necessaria di benessere condiviso, legalità e stato di diritto.

La Chiesa continua in questo ad avere un ruolo di stimolo.Negli ultimi decenni, il cristianesimo nel suo complesso ha avuto in Corea una crescita notevolissima, coinvolgendo quasi un terzo degli abitanti e diventando maggioritario per quanti, poco più della metà della popolazione, si dichiarano in qualche modo religiosi. I cattolici sono 5,3 milioni, ovvero il 10,3% dei sudcoreani. Per la Chiesa cattolica, le ragioni di tale “avanzata”, in un Paese che ha sempre avuto nel confucianesimo la propria trama sociale e nel buddhismo un supporto spirituale, sarebbe legata alla necessità di maggiore spiritualità e religiosità da parte di una società che attraversa un rapido processo di sviluppo economico e di evoluzione.