Prove di apertura in Laos

Prove di apertura in Laos

In corso il congresso del Partito comunista in uno dei Paesi più poveri e isolati dell’Asia. Le speranze di un nuovo corso si intrecciano con il cammino della piccola comunità cristiana locale, tuttora non riconosciuta (e a volte anche apertamente osteggiata) dalle autorità locali


Si chiudono oggi in Laos i lavori del 12° Congresso del Partito comunista, evento dalla cadenza quinquennale. I 684 delegati – in rappresentanza di oltre 200mila iscritti – avranno il compito di scegliere i membri del Politburo e del Comitato centrale del partito, i due principali organi interni, di fatto responsabili della gestione del Paese. A loro è affidato anche il compito di definire le linee di sviluppo.

Il tentativo di mantenere nell’isolamento il Paese per garantire al potere una maggior presa – ma anche per impedire che un’apertura troppo rapida potesse destabilizzarlo – ha reso il Laos uno dei Paesi più poveri del continente, ma con minori divaricazioni e tensioni che altrove, con una maggiore tutela delle risorse e con un alto livello di conservatorismo all’interno di una società che vede una grande varietà etnica.

Da tempo, tuttavia, il Laos è stato costretto a accogliere lusinghe e pressioni di Pechino, in particolare riguardo alla costruzione di imponenti sbarramenti sul corso del Mekong per soddisfare la sete cinese di energia, come pure quella della confinante Thailandia. Il tutto nonostante una forte opposizione delle comunità locali e di gruppi ambientalisti.

Inaugurando il congresso, il primo ministro Thongsing Thammavong ha ricordato la crescita dell’ultimo decennio, con una media del 7,4%. E ha dichiarato che per portare il Paese fuori dalla povertà sarà centrale ricucire lo “strappo” di reddito e la differenza di possibilità tra città e campagne. L’obiettivo è favorire il 70% dei 6,8 milioni di laotiani che hanno meno di trent’anni .

Probabile successore del segretario generale del partito Choummaly Sayasone –  che lo ha guidato per due mandati consecutivi – è il vice-presidente Bounnhang Vorachith. Per gli osservatori sarebbe la conferma che la transizione dalla vecchia leadership rivoluzionaria a una generazione più giovane e pragmatica è avviata. E da questa generazione ci si attendono anche sviluppi in termini di rispetto dei diritti umani e delle libertà individuali e collettive.

Il volto del Paese resta insieme comunista e buddhista e il buddhismo rappresenta per i laotiani un elemento identitario e l’unico potere alternativo a quello politico. Paese evangelizzato da quasi quattro secoli, il Laos ha una ridotta comunità cristiana, 150mila battezzati, per metà cattolici organizzati nei vicariati apostolici di Vientiane, Luang Prabang, Paksé e Savannakhet.

Un anno fa, la condanna di cinque cristiani da parte di un tribunale provinciale era stata accolta con dure critiche da parte di organizzazioni locali e internazionali per i diritti umani. I cinque erano stati incarcerati per nove mesi per “pratiche mediche illegali” per avere accolto la richiesta di preghiere di una donna in punto di morte. Per quanto le minoranze religiose stiano registrando qualche apertura – sia rispetto alle loro necessità interne, sia per i rapporti con l’estero – la politica ufficiale nega loro un ruolo. Come ricordato da Phil Robertson, vice-direttore regionale di Human Rights Watch, “data l’approssimazione del Decreto sulla pratica religiosa, che rende fuorilegge ogni iniziativa che secondo le autorità possa creare ‘divisione sociale’ o ‘caos’, senza definire chiaramente questi termini, ne risulta una concreta impunità per i funzionari locali che perseguitano i gruppi religiosi minoritari a loro volontà”.

L’annuncio a inizio maggio 2015  del riconoscimento vaticano del martirio dell’Oblato di Maria Immacolata padre Mario Borzaga e del catechista Paul Paul Thoj Xyooj, uccisi nel 1960 dai guerriglieri comunisti, sono oggi di incoraggiamento per la Chiesa locale. “Siamo molto contenti – aveva commentato allora il vicario apostolico di Paksé, mons. Louis-Marie Ling Mangkhanekhoun -. Attendiamo i risultati della seconda causa di beatificazione, ancora aperta – aveva anche aggiunto -, che riguarda altri 15 martiri, inclusi il primo sacerdote laotiano, missionari e laici… Il riconoscimento del martirio è davvero un dono fatto alla piccola Chiesa laotiana”.