Pyongyang, la bomba e i cattolici

Pyongyang, la bomba e i cattolici

Il nuovo test nucleare arriva un mese dopo lo storica visita a Pyongyang di quattro vescovi della Corea del Sud. Prove di forza e aperture: segnali opposti che dicono la complessità della partita che la Chiesa sta portando avanti per la riconciliazione della penisola

 

Una nuova sfida della Corea del Nord che ha ragioni soprattutto di stabilità del regime e forti ripercussioni interne. E una nuova chiamata a sanzioni e al rafforzamento dell’alleanza militare tra Corea del Sud e Stati Uniti. L’onda d’urto del terremoto di magnitudine 5.1 provocato ieri dal nuovo test nucleare nordcoreano, il quarto dal 2002, si estende e questa volta Pyongyang deve anche incassare la condanna del tradizionale alleato cinese che ha consentito al Consiglio di sicurezza dell’Onu di stringere ulteriormente la già fitta rete di sanzioni e ai Paesi coinvolti nelle strategie estremo orientali di accentuare l’azione di contenimento anche militare delle ambizioni e delle bizzarrie del regime guidato da Kim Jong-un. Regime che soggioga 24 milioni di abitanti del suo Paese, tra i più statisticamente poveri al mondo ma con un apparato militare temibile e sovradimensionato.

L’esplosione nucleare sotterranea della giornata dell’Epifania solleva nella cristianità anche interrogativi sulla tenuta del regime, sulle possibilità di pratica religiosa nel contesto attuale e anche qualche riflessione sulle prospettive. Non tutto infatti è stasi o chiusura, almeno nei rapporti inter-coreani e la Chiesa cattolica ne è partecipe.

Il 12 ottobre, preti sudcoreani hanno celebrato la Messa a Pyongang – i primi dal 2008 – nell’irreale cornice della ‘cattedrale’ di Changchung, unico luogo di culto cattolico ufficiale nel Paese.

Di maggior rilievo la visita di quattro vescovi e 13 preti che, guidati da monsignor Hyginus Kim Hee-joong, arcivescovo di Gwangju e presidente della Conferenza episcopale coreana, si sono recati al Nord dal 1° al 4 dicembre su invito dell’Associazione cattolica coreana. La prima visita di esponenti della conferenza episcopale dalla fine del conflitto coreano nel 1953, potrebbe aprire un tempo di visite regolari di clero del Sud a Nord del 38° parallelo già dalla prossima Pasqua. Tra le possibilità segnalate ai vescovi, ulteriori iniziative di assistenza e forse anche un nuovo edificio di culto cattolico a Pyongyang, ma non la preparazione di sacerdoti nordcoreani.

I rapporti del regime con la Chiesa cattolica molto devono al prestigio diplomatico della Santa Sede e alla necessità di legittimazione del regime, mentre poco hanno a che vedere con la libertà di fede e di culto prevista nella Costituzione ma sempre negata. La cattolicità del Nord, un tempo fiorente, ridotta a non più di 50mila fedeli alla fine del conflitto coreano nel 1953, è oggi assai ridotta. Sono 3.000 I cattolici registrati dall’Associazione cattolica coreana controllata dal potere politico.

D’altra parte, il riconoscimento della cattolicità locale è pretesto per sollecitare aiuti e per tollerare la presenza di organizzazioni di soccorso cattolico.

La linea della Chiesa cattolica coreana non è quella dell’impegno “a perdere” o dell’ottimismo forzato. Come indicato da papa Bergoglio durante la Messa che ha celebrato durante la sua visita al Sud dal 14 al 18 agosto 2014, “tutti i coreani sono fratelli e sorelle, membri di una sola famiglia, di un solo popolo”. La Chiesa ne è pienamente consapevole e partecipa pienamente al processo di riconciliazione intercoreano. Un compito non facile e non solo per le chiusure di Pyongyang.

Netto l’avvertimento di p. Timothy Lee Eun-hyung, segretario del Comitato per la Riconciliazione del popolo coreano: “I coreani di oggi possono focalizzare sul futuro, ma vediamo che i giovani rischiano di diventare indifferenti verso un passato che non hanno vissuto direttamente”. Il rischio è di disaffezione o indifferenza verso il processo di riconciliazione, al centro dell’attività della Chiesa coreana, unica come gerarchia e con base a Seul, ma da sempre aperta al dialogo con il Nord e alla riunione con le sparute comunità cattoliche che vivono in molti casi nella clandestinità. “Occorre mettere da parte atteggiamenti aggressivi e camminare sul sentiero dell’inclusione, del perdono e della riconciliazione che anche papa Francesco ha ricordato quando è venuto in Corea”, sottolinea p. Lee.