Suriya, morta in gravidanza per produrre mattoni

Suriya, morta in gravidanza per produrre mattoni

La tragica morte di una 30enne in una manifattura di mattoni nello stato meridionale di Telengana in India ripropone drammaticamente la questione del lavoro schiavo. Sono 100mila le manifatture di mattoni nel Paese e circa 23 milioni quanti vi lavorano, con una buona percentuale di minori.

 

L’India, forte delle dimensioni della sua demografia e dei suoi problemi, continua a guidare una triste classifica, concentrando in una sola nazione il maggior numero di poveri del pianeta e il maggior numero di donne e minori sottoposti a forme di sfruttamento definite dai trattati e convenzioni internazionali e sanzionate da molti paesi.

In un’area ricca di ombre e sovente ignorata nel nome delle necessità, ll governo di New Delhi tende a non riconoscere le varie aree di schiavitù se non riguardo allo sfruttamento sessuale. Di conseguenza, la situazione di milioni di uomini, donne e bambini costretti a lavorare per i debiti contratti dalle famiglie, come pure la condizione dei lavoratori domestici o in generale il lavoro minorile, vengono considerati come problemi di povertà e di crescita, non di sfruttamento.

Ancora di recente si è alzato un allarme eccellente: “Le leggi da sole non bastano per sradicare il lavoro minorile” ha ricordato Kailash Satyarthi, presidente del movimento internazionale Global March contro il lavoro minorile. Sathyarti ha lanciato un appello ai suoi connazionali affinché denuncino i casi di sfruttamento dei minori e boicottino merci e servizi prodotti con il loro lavoro.

Ma quanto può valere questo quando il prodotto sono i mattoni con cui anche i poveri costruiscono le loro precarie abitazioni o quando gli stessi poveri devono fabbricarli per potere avere – prima ancora che un rifugio – la speranza di un affrancamento dalla schiavitù per debito?

Le indagini riguardo il caso di una 30enne impiegata in una manifattura di mattoni nello stato meridionale di Telengana, ha portato alla luce una rete di profittatori che sfruttavano manodopera minorile e femminile. La sorte di Suriya Bag, costretta a lavorare nonostante la febbre e una gravidanza in corso da quattro mesi, ha segnalato ancora una volta l’inadeguatezza di leggi e controlli e la spregiudicatezza dei trafficanti di esseri umani che gestiscono la tratta di centinaia di individui reclutati da stati confinanti per lavorare nelle locali fabbriche di mattoni.

La sorte di Surya Bag, morta in ospedale dove è stata ricoverata d’urgenza dopo essere stata presa a calci dal suo supervisore, ha costretto la polizia a aprire un’indagine e quando i poliziotti con ispettori del lavoro sono arrivati nella manifattura, in una zona rurale a 180 chilometri dalla capitale Hyderabad, vi hanno trovato 293 individui, molti donne e bambini, costretti a lavorare e vivere in condizioni disumane. Raccolti per la notte in baracche sovraffollate, senza gabinetti, con uomini e donne costretti espletare le funzioni fisiologiche all’aperto e con cibo fornito in quantità insufficiente.

I tre responsabili della fabbrica rischiano fino a 10 anni di carcere, ma per omicidio colposo e non per riduzione in schiavitù, non prevista da codice. Ancora una volta a pesare sui lavoratori i debiti contratti, incentivati da intermediari senza scrupoli che così legano a sé individui incapaci di restituire una somma raramente decrescente. Alla famiglia della donna scomparsa è stato riconosciuto un indennizzo equivalente a meno di mille euro, ma ancora un volta a ferire di più è l’atteggiamento della autorità, che negano che si tratti di schiavitù ma solo di debiti contratti volontariamente, nel caso di minori dalla loro famiglie. Sono 100mila le manifatture di mattoni nell’immensa India e circa 23 milioni quanti vi lavorano, con una buona percentuale di minori.