Turisti cinesi: le due facce di un boom

Turisti cinesi: le due facce di un boom

Dal Giappone alla Thailandia, in molti Paesi asiatici il boom di presenze è visto di cattivo occhio, anche se porta ricchezza (nella foto una coppia di neosposi cinesi a Santorini).

Il 23 dicembre scorso, a Hokkaido, l’isola più a nord del Giappone, un’eccezionale nevicata ha costretto le autorità aeroportuali a cancellare centinaia di voli. Mentre i giapponesi attendevano disciplinati la riattivazione delle partenze, un gruppo di turisti cinesi ha perso la pazienza, e ne è nata una rissa con la polizia giapponese. Il video del tafferuglio è finito in televisione, provocando numerosi commenti sui social sulla maleducazione dei cinesi.

Non è una novità. Simili polemiche rimbalzano ormai ciclicamente nei media estremo orientali, in parallelo alla crescita costante dei turisti della Repubblica Popolare Cinese nell’ultimo decennio. Secondo il China National Tourism Administration nel 2015 sono stati all’estero 120 milioni di cinesi, mentre nella prima metà del 2016 hanno viaggiato oltre confine 59 milioni di persone. Le loro mete preferite? Corea del Sud, Taiwan, Giappone, Hong Kong e Thailandia figurano fra le prime cinque destinazioni scelte nel 2015, mentre il primo Paese europeo, la Francia, risulta al sesto posto.

Se a viaggiare all’estero è ancora una minoranza della popolazione (poco meno del 10 per cento) che può permetterselo, la loro agiatezza non è sinonimo di buone maniere. L’elenco dei casi di cronaca è lungo e colorito. I giapponesi hanno prodotto numerosi opuscoli di etichetta per i turisti stranieri, in realtà indirizzati soprattutto ai cinesi, giudicati rumorosi, restii a rispettare le regole e maleducati. A Hokkaido, per esempio, l’ente turismo locale ha realizzato un pieghevole in cinese e inglese, in cui si invitano i turisti a non ruttare in pubblico, a gettare la carta igienica usata nel wc e a non rubare le posate nei ristoranti. Gli hotel sono particolarmente presi di mira. Qualsiasi albergatore mette in conto che un cliente si porti via una saponetta, ma non l’arredamento della stanza. C’è chi corre ai ripari mettendo avvisi specifici: in un hotel giapponese, per esempio, lo specchio d’ingrandimento appoggiato sulla scrivania reca la scritta “astenetevi dal portarlo via” in inglese, giapponese, coreano e cinese. Un altro albergo nipponico, esasperato dai furti, ha stampato un elenco degli oggetti della stanza con il relativo prezzo, dal posacenere al wc.

Non sono solo gli educatissimi giapponesi a lamentarsi del turista cinese medio. A Taiwan, come riportato dal Taipei Times, albergatori e operatori turistici temono che la crescita del turismo dalla Cina allontani altri viaggiatori, per esempio i giapponesi. «I cinesi sono grandi fumatori», scrive un docente universitario, «e di solito gettano le cicche per strada, provocando la rabbia degli abitanti locali». All’aeroporto di Jeju in Corea del Sud succede di peggio: gli addetti delle pulizie devono spazzare gli imballaggi degli oggetti comprati al duty free dai viaggiatori cinesi e gettati per terra al gate.

I thailandesi hanno espresso preoccupazione sul possibile comportamento irrispettoso dei turisti cinesi durante il periodo di lutto nazionale per la morte del sovrano. Nell’autunno scorso, il governo thailandese ha imposto una tassa di circa 26 euro a persona per l’ingresso nel Paese ai cinesi, rei di alimentare un turismo “tutto incluso” che lascia poca valuta alla Thailandia. Si tratta, infatti, di viaggi organizzati dalla Cina, dove anche i servizi di alloggio e ristorazione vengono gestiti da società cinesi. Come riporta il South China Morning Post, la decisione di Bangkok porterà a una riduzione delle presenze cinesi da 10 a 9 milioni nel 2016, tant’è che il governo sta facendo marcia indietro: la tassa resterà congelata fino alla fine di febbraio prossimo.

La verità è che i turisti cinesi possono non piacere, ma i loro soldi fanno comodo. Nel 2015, hanno speso all’estero 104,5 miliardi di dollari (oltre 99 miliardi di euro). Per quanto spesso si tratti di un turismo al risparmio, che si muove con viaggi organizzati, resta il fatto che i cinesi fanno shopping, consumano e lasciano denaro ai Paesi che li ospitano. E poi, saranno davvero tutti maleducati? Forse viaggiare all’estero è ancora una novità per loro e molti non conoscono il galateo. Ma quando si va in vacanza oltre confine, si allentano alcuni freni inibitori sociali: è una regola che vale per tutti, soprattutto in gruppo, europei e americani inclusi.

A volte le reazioni negative sono dettate un atteggiamento razzista, che può sfociare in un’aperta ostilità. In Giappone, ha fatto scalpore il recente caso di un ristoratore di Osaka preso a infarcire di dosi extra di pungente wasabi solo i piatti dei turisti cinesi e coreani.

D’altronde, al di là del loro comportamento, i cinesi non sono solo vittime: come noi, sanno essere razzisti anche fra di loro. Anni fa, mentre ero in visita al Tempio del Cielo a Pechino, un gruppo di turisti locali ha iniziato a ridere e a parlare con un tono di voce troppo alto. «Sono del sud della Cina, li riconosci subito dagli schiamazzi», mi ha sussurrato in inglese la mia guida, pechinese doc. Tutto il mondo è paese.