Il Papa e l’Imam. Inizio di una nuova era?

Il Papa e l’Imam. Inizio di una nuova era?

Sullo storico incontro in Vaticano tra Papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib, le riflessioni di uno studioso che vive da oltre trent’anni al Cairo

L’incontro avvenuto in Vaticano il 23 maggio 2016 tra Papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib può essere considerato a ragione un fatto storico. Il Pontefice rappresenta la Chiesa cattolica che conta circa 1 miliardo 254 milioni di persone, mentre il Grande Imam di Al-Azhar rappresenta la più autorevole scuola dell’islam sunnita con cui si identifica il 90% del miliardo e 600 milioni di musulmani nel mondo (cioè circa 1 miliardo 440 milioni). Insieme, le due religioni contano circa 2.694 milioni di fedeli, quasi un terzo dei 7 miliardi di persone che popolano il mondo. Questo quadro sommario della situazione mondiale ci deve far capire l’importanza di tale incontro.

Inoltre, a causa di alcune recenti circostanze, interpretate diversamente dalle parti in causa, i rapporti fra il Vaticano e Al-Azhar si erano arrestati. Ora questo incontro sembra il segnale di una ripresa, che, speriamo, duri a lungo.

Naturalmente questo incontro ha suscitato molte aspettative e anche molti interrogativi. Sarà sufficiente per portare una vera pace fra le religioni, in un mondo agitato da molti movimenti estremisti, fino al terrorismo soprattutto in campo ismalico? Sarà l’inizio di un dialogo globale fra tutte le religioni mondiali al fine di realizzare un vero “villaggio globale”, in cui tutti i cittadini del mondo godranno degli stessi diritti e doveri, senza discriminazioni, persecuzioni e oppressioni delle minoranze, come si constata troppo spesso ancora? Sarà l’inizio anche di una nuova era di pace per l’umanità?

Certamente queste sono tutte attese legittime, che però devono essere vagliate alla luce della storia umana concreta, e non di proiezioni meramente ideali.

Prima di tutto speriamo veramente che tale incontro rappresenti, come abbiamo detto, un vero nuovo inizio, basato non tanto sulla ricerca di immagini mediatiche eclatanti, ma piuttosto sul rifiuto convinto di ogni violenza perpetrata in nome della religione, nella sincera ricerca della pace per tutti, secondo il detto del famoso teologo tedesco Hans Küng: «Non ci sarà pace fra i popoli, se prima non ci sarà pace fra le religioni». La ricerca della pace fra i popoli deve essere il fine ultimo di ogni dialogo interreligioso serio. Questa ricerca poi deve essere espressa in documenti ufficiali comuni che condannino in modo imperativo ogni strumentalizzazione della religione per giustificare la prassi della violenza sotto ogni sua forma. Credo che dichiarazioni del genere fatte dalle due massime personalità religiose mondiali sia un buon sostegno per tutti coloro che cercano la pace a tutti i livelli. Esse, inoltre, dovrebbero contrastare efficacemente ogni propaganda religiosa che giustifichi la violenza da qualsiasi parte venga. In tal senso tale incontro deve essere considerato altamente positivo e speriamo che abbia una ricaduta positiva nel prossimo futuro.

Inoltre, occorre che le due parti incoraggino una prassi di cooperazione pratica a vari livelli, affinché i credenti di entrambe le religioni imparino a conoscersi e ad accettarsi reciprocamente nelle loro differenze, e a collaborare per il bene comune. Solo così si formeranno nuove generazioni capaci di superare il tribalismo religioso tradizionale e aperte sul piano umano all’altro, al differente, e alla collaborazione con esso.

Detto ciò, occorre aggiungere che oltre alle dichiarazioni verbali generiche, bisogna fare altri passi. Prima di tutto, ambedue le parti devono impegnarsi seriamente al rispetto e alla difesa dei diritti umani proclamati dalla dichiarazione universale dell’Onu del 1948, soprattutto per quanto riguarda le libertà personali di coscienza, di espressione, di associazione, di ricerca e di studio, ecc. Occorre cioè che ogni religione cerchi nella propria tradizione quei principi che sostengono tali libertà, altrimenti il tutto si ridurrà a parole vuote, senza risultato. Questo comporta, a mio parere, una seria revisione della prassi giuridica all’interno di ogni religione, per purificare la propria legislazione da tutto ciò che contraddice tali principi universali dei diritti umani. Questo non sarà un compito facile per chi, da secoli, è abituato a una certa prassi giuridica di dominio sociale. E ciò comporta, a mio parere, anche un grande lavoro di esegesi dei testi fondanti di ogni religione, esegesi che molte volte contraddirà quella del passato. Contrasti e conflitti interni tra tradizionalisti e riformisti saranno inevitabili. Nella Chiesa cattolica abbiamo sperimentato tale crogiolo culturale nell’incontro con la modernità, che ha messo in crisi molte cose dell’apparato tradizionale della Chiesa.

Inoltre, per sradicare a fondo la violenza da ogni religione occorre pure fare una “purificazione della memoria”, cioè una revisione critica della storia passata. Ogni religione ha commesso lungo il corso della sua storia molta violenza, giustificata con vari motivi, fra cui quelli religiosi. Questa è una realtà storica che nessuno può negare, e nascondere i cadaveri negli armadi non serve… essi puzzano sempre! Occorre avere la sincerità e il coraggio di riconoscere e confessare la propria violenza storica. Nessuno è innocente nella storia, e «chi è senza peccato scagli la prima pietra»… La confessione pubblica in tal senso, fatta da Papa Giovanni Paolo II durante l’anno giubilare 2000, è esemplare a tal proposito. Solo una simile “purificazione della memoria” può far sì che ogni tradizione religiosa si liberi radicalmente della violenza, senza sottintesi o sotterfugi.

Su tale base affermo che le dichiarazioni verbali fatte anche ad alto livello, come nell’incontro fra le due massime autorità del Cristianesimo e dell’Islam, non saranno realizzate in pratica se non attraverso un lavoro serio di studio e di prassi a tutti i livelli fatte da persone impegnate seriamente nel dialogo interreligioso. Saranno queste persone che apriranno in pratica la via per un cammino di dialogo “reale” e non solo “verbale”, per una sempre più profonda trasformazione delle società umane.