Nullità matrimoniale: il caso del Medio Oriente

Nullità matrimoniale: il caso del Medio Oriente

Le novità introdotte ieri dal Papa hanno una valenza particolare per i cristiani del mondo arabo. Dove tutti i matrimoni sono religiosi e – come racconta in questo articolo il vicario di Amman, mons. Marun Lahham – capita che un orientale cattolico scelga di aderire a una Chiesa ortodossa (o addirittura all’islam) per ottenere più facilmente l’annullamento del matrimonio

Nel promulgare ieri le nuove norme che snelliscono le procedure canoniche relative alle cause di nullità matrimoniale, papa Francesco – accanto al motu proprio «Mitis Iudex Dominus Iesus» – ne ha promulgato un secondo intitolato «Mitis et misericors Iesus», che interviene sul Codice di diritto canonico delle Chiese Orientali. C’è evidentemente un criterio di uniformità dietro ai due testi; ma c’è anche la risposta a una situazione del tutto particolare vissuta nel mondo arabo tanto dalle Chiese di rito latino quanto dalle Chiese cattoliche di rito Orientale: quella degli esodi confessionali proprio legati alle separazioni. A spiegarlo è il vicario di Amman, il vescovo Maroun Lahham in questo articolo che verrà pubblicato nello speciale che il numero di ottobre 2015 di Mondo e Missione dedicherà al Sinodo sulla famiglia. La riflessione è stata raccolta in occasione dell’intervento tenuto dal presule all’Agorà del Mediterraneo, svoltasi a luglio al Coe di Barzio (Lc)

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Grazie a Dio, la famiglia araba cristiana è ancora sana e conserva la forma tradizionale della famiglia: padre, madre e figli. Ma con il potere dei mass-media, tutte le altre forme di cosiddetta famiglia entrano nelle nostre case e nessuno può prevedere l’impatto che potrebbero avere nel pensiero delle nuove generazioni. Il fatto però che nei Paesi arabi esiste solo il matrimonio religioso – cristiano o musulmano permette di frenare, almeno per il momento, l’adozione di nuove forme di matrimonio.

Numerose sono le sfide di fronte a cui si trovano oggi le famiglie cristiane del Medio Oriente. Una di queste è rappresentata dai matrimoni misti, intendendo quelli fra cristiani e musulmani. Il matrimonio misto fra cristiani di varie Chiese, infatti, è un fenomeno molto diffuso e largamente accettato. Troviamo difficilmente una famiglia araba cristiana dove tutti i membri sono cattolici o ortodossi, oppure maroniti, o siriaci ecc.

I matrimoni interreligiosi costituiscono invece un caso a parte. Queste unioni sono di due tipi. Il primo tipo riguarda due giovani di fede diversa, che si sposano nonostante la resistenza della Chiesa (fanno un matrimonio civile all’estero o un matrimonio musulmano). Questi matrimoni falliscono nel 90% dei casi, perché il concetto del matrimonio, della famiglia, del ruolo della donna, della natura del legame matrimoniale è totalmente diverso nell’islam e nel cristianesimo. Basta pensare al divorzio e alla poligamia.

Il secondo tipo riguarda uomini cristiani che passano all’islam per avere il diritto di divorziare e contrarre un altro matrimonio, che sarà per forza musulmano. Anche queste unioni durano poco. Il problema è che il cristiano che si è fatto musulmano per divorziare non può più tornare alla propria fede di origine. Le conseguenze, specialmente per i figli, sono casi impossibili da risolvere. Ancora una volta, essendo in Paesi musulmani dove la legge musulmana prevale, certi diritti dei cristiani sono negati.

Non tutti quelli che vogliono una soluzione rapida e facile ai loro casi matrimoniali nei tribunali cattolici passano all’islam. La maggior parte passa invece alla Chiesa ortodossa, dove le procedure sono molto più semplici e meno rigide. La sfida in questi casi è costituita da un secondo matrimonio “cristiano” – o considerato tale perché celebrato in una Chiesa – contratto quando la prima moglie è ancora in vita. In questi casi si pone la questione dell’approccio ai sacramenti dell’Eucarestia e della Riconciliazione, il che non si pone per i casi del passaggio all’islam. Questa questione sarà esaminata al Sinodo sulla Famiglia, nel contesto della riflessione sui divorziati risposati.

Esiste poi il tema del tribunali ecclesiastici. Parlo dei tribunali cattolici e, nel mio caso, dei tribunali di rito latino. Non parlo di problema, ancora meno di sfida, ma di una constatazione che è stata largamente menzionata durante il Sinodo dell’ottobre 2014 da più di un Padre sinodale. Le procedure sono lunghe e complicate, specialmente per i casi di nullità del matrimonio.

La sfida è doppia. Primo: più il tempo passa e più il marito è tentato di passare alla Chiesa ortodossa o all’islam. Secondo: più il tempo passa e più la giovane moglie diventa meno giovane, perdendo dunque la possibilità di risposarsi. Bisogna ribadire che, nei Paesi arabi, la ragazza non sceglie il marito, ma “aspetta” che un giovane venga a “domandare” la sua mano. Ed è chiaro che, se una ragazza si sposa a 25 anni e, dopo un anno o due, comincia il processo di nullità, se deve aspettare altri cinque anni per avere il decreto di nullità… le sue chances di un secondo matrimonio diminuiscono drasticamente. Sembra che la Santa Sede stia pensando a rendere questi casi più veloci, o addirittura di dare la competenza al Vescovo locale di decidere senza il ricorso, finora necessario, alla Sacra Rota.

Di tutt’altro genere sono le sfide poste dall’emigrazione alla società arabo-cristiana nei Paesi del Medio Oriente. L’emigrazione in sé è un fenomeno proprio di tutte le epoche e di tutti i Paesi. I cristiani dei Paesi arabi l’hanno conosciuto a partire dal XIX secolo. La causa principale è stata, nel passato, la condizione economica nella stagione del dominio turco, in particolare in Libano, Siria e Palestina.

È chiaro che, oggi, quei Paesi arabi che vivono una situazione politica difficile vedono un’emigrazione più sostenuta. Per esempio, la percentuale dei cristiani palestinesi all’interno della Palestina è l’1,2%, mentre nei Paesi di emigrazione raggiunge il 10%. Non parlo dell’Iraq, che ha perduto durante quest’ultima guerra i due terzi dei suoi cristiani, né della Siria che vive un vero esodo – cristiano e musulmano -, senza contare quelli che sono morti in mare.

L’aspetto negativo dell’emigrazione è che il Paese perde i suoi elementi cristiani migliori: le persone giovani e istruite, le giovani coppie. Ciò accresce la responsabilità di chi resta in patria per provvedere al sostentamento degli anziani, dei bambini e dei giovani. Nel caso dell’emigrazione del padre di famiglia, la moglie e i figli rimangono soli, con delle difficoltà evidenti nell’educazione, specialmente degli adolescenti, senza parlare della mancanza del legame affettivo che può diventare una sfida seria sia per marito che per la moglie.

Come possono le famiglie cristiane arabe affrontare le varie sfide menzionate? Rimanendo salde nell’unità, nell’indissolubilità e nella santità della famiglia in mezzo a una società musulmana o ebraica, dove vigono il divorzio, la poligamia e, in qualche caso, il matrimonio civile o addirittura la convivenza. Questa fedeltà ai valori del matrimonio cristiano è parte integrante della fedeltà allo spazio geografico e culturale dove il Signore ha collocato i cristiani arabi per vivere la loro fede e, soprattutto, per testimoniarla. È in questa prospettiva che bisogna concepire il futuro dei cristiani arabi.

Le nostre comunità cristiane partecipano attivamente alla grazia della Terra Santa. È la Terra del Calvario, ma è anche la Terra della Risurrezione.