I ragazzi e la Shoah: un romanzo per non chiudere gli occhi

I ragazzi e la Shoah: un romanzo per non chiudere gli occhi

Fra i libri usciti in prossimità della Giornata della Memoria c’è “Hanna non chiude mai gli occhi”, un libro che racconta ai ragazzi di oggi i sogni dei loro coetanei del ’43.

Titolo del tema: “Il giorno più bello della mia vita”. Alberto racconta la sua felicità quando scoprì che il padre gli avrebbe regalato la tanto sognata bicicletta. Ester descrive un indimenticabile viaggio in Sudamerica con la famiglia. Potrebbero essere desideri e ricordi di adolescenti di oggi. Risalgono invece al 1943 e sono rimasti sepolti nello scantinato di una scuola italiana di Salonicco, la “Umberto I”, frequentata anche da ragazzi ebrei.

La furia nazista si abbatté sulla comunità sefardita della città greca, una delle più numerose in Europa. Furono deportate 54 mila persone. Ne sopravvissero poco più di duemila. I temi dei ragazzi della Umberto I, scoperti per caso solo tre anni fa, hanno ispirato “Hanna non chiude mai gli occhi” (edizioni San Paolo) di Luigi Ballerini, uscito in occasione della giornata della memoria.

Cinquantatre anni, psicoanalista, Ballerini vive a Milano con la moglie Daniela e quattro figli di età compresa fra i 16 e i 24 anni. Gli adolescenti li ascolta in famiglia, nel suo studio, negli incontri che tiene nelle scuole. Una decina d’anni fa ha cominciato a raccontarli. Ha scoperto che la cosa gli riusciva bene e lo appassionava e oggi è anche un affermato autore per ragazzi. Nel 2014, con “La signorina Euforbia” (San Paolo), si è aggiudicato il Premio Andersen per il miglior libro età 9-12 anni.

“L’ispirazione per questo libro – spiega Ballerini -, è nata grazia a mio figlio diciottenne, che durante la maturità ha approfondito la figura di Guelfo Zamboni. Console italiano a Salonicco, salvò diverse centinaia di uomini e donne della comunità ebraica attribuendo loro la cittadinanza italiana ed evitando così che venissero deportate in Germania. La sua figura mi ha affascinato: usò la burocrazia e si avvalse della sua autorità fino all’ultimo per salvare quante più persone possibili, e tenne la cosa per sé, rivelandola ai famigliari solo dopo molti anni”.

Per documentarsi su Guelfo Zamboni Ballerini chiama l’Istituto di cultura italiana ad Atene: “Per un caso fortuito al telefono mi ha risposto Antonio Crescenzi – continua l’autore – . Mi sono così imbattuto così in un’altra storia. A Salonicco c’erano sei scuole italiane, frequentate anche da ragazzi ebrei. Una era l’Umberto I, attuale sede dell’Istituto di cultura italiana. Crescenzi mi raccontò di aver trovato nei sotterranei temi e pagelle che risalivano al periodo fra il ’41 e il ’43. Mi invitò a Salonicco e mi fece leggere i componimenti di due ragazzi ebrei. Sono stati loro a ispirare i personaggi del mio libro. Mi sono appassionato alle loro storie, ho visitato il museo ebraico della città, raccolto testimonianze e racconti di quel periodo. Nel 2014, poi, c’è stata la consegna dei diplomi ai discendenti ancora in vita di quei ragazzi, che non avevano potuto ritirarli perché deportati”.

“In Hanna non chiude mai gli occhi alterno le vicende documentate di Zamboni con quelle di due personaggi di fiction, Hanna e Joseph, ai quali ho attribuito sia ciò che ho appreso dalle video testimonianze dei sopravvissuti sia i ricordi contenuti nei temi dei ragazzi ebrei di Salonicco. I due personaggi non sono reali, ma quello che dicono e che pensano è un collage di storie e di vissuti coi i quali sono venuto a contatto” afferma l’autore.

Per quanto sia profondamente cambiato il contesto, colpisce come i desideri, le aspettative i sogni le preoccupazioni dei quindicenni del ’43 siano molto simili a quelli di adesso. Per questo “Hanna non chiude mai gli occhi” è un libro che anche i ragazzi di oggi possono capire. La voglia di crescere, di essere felici, di pensarsi adulti è qualcosa di trasversale a tempi e situazioni molto diverse. Essere giovani – suggerisce tra le righe l’autore –  ha una sua specificità, che è proprio quella di questa possibilità di pensarsi nel futuro, persino quando questo futuro, com’è accaduto nel’43, potrebbe anche non esserci.