«Non ho nemici e nessun odio»

«Non ho nemici e nessun odio»

L’eredità non violenta di Liu Xiaobo. Dopo la sua morte chi sono oggi i dissidenti cinesi che portano avanti la sua battaglia per i diritti umani?

 

Moltissimi hanno scritto nei giorni scorsi su Liu Xiaobo, ma non molto in lingua italiana. Questo mio scritto non è potuto essere tempestivo, ma il tema dei diritti umani in Cina, pur non essendo prominente nei media italiani, non passa, purtroppo, mai di attualità. Voglio rendere omaggio ad un uomo che ha dato la sua vita per la causa della giustizia. Di Liu Xiaobo ammiro soprattutto la scelta non violenta, che lo mette in compagnia con grandi leader del XX secolo: Mahatma Ghandi, Martin Luther King e, in Italia, Primo Mazzolari e Lorenzo Milani. A Hong Kong abbiamo tradotto in cinese opere di Mazzolari e Milani, testi che affermano il primato della coscienza sulle leggi ingiuste dello Stato e la non violenza come mezzo di lotta civile. Liu Xiaobo è stato ricordato dai cristiani di Hong Kong come un giusto, un profeta e martire che ha donato la sua vita.

Premio Nobel per la pace nel 2010, Liu Xiaobo è morto lo scorso 13 luglio 2017 a causa di un cancro al fegato, una malattia iniziata in carcere. Aveva solo 61 anni, e stava scontando una lunga pena detentiva che lo distrusse fisicamente. Le molestie subite dalla sua famiglia e da sua moglie Liu Xia, costretta ad una forma illegale di arresti domiciliari -senza essere accusata di alcun crimine- l’ha distrutto mentalmente.

Poche settimane prima della sua morte, le autorità gli hanno concesso le cure in un ospedale, ma sempre in regime di detenzione. Una tragicommedia che ricorda il rilascio di Otto Warmbier – un ragazzo americano arrestato per una sciocchezza – da parte del dittatore nord coreano Kim Jong Un, lo scorso giugno. Il ragazzo, già in coma, morì pochi giorni dopo. La morte in detenzione di Liu Xiaobo fa pensare anche al pacifista tedesco Carl von Ossietzky, premio Nobel per la pace, morto nelle carceri naziste nel 1938.

Liu Xiaobo era un uomo, un intellettuale e uno scrittore di grande valore. Erede della tradizione democratica cinese, un giorno, speriamo non troppo lontano, sarà considerato un eroe e un martire della democrazia e della libertà per la Cina, non solo nel suo Paese, ma in tutto il mondo. Un uomo coraggioso: quando le proteste di Tienanmen esplosero, Liu era all’estero ma ha scelto di tornare in patria. Mentre molti scelsero la via dell’esilio, Liu rimase in patria, accettando il carcere. Anche prima della seconda lunga detenzione, che lo portò alla morte, avrebbe potuto partire. Ma non lo fece.

Si impegnò piuttosto nel progetto di Charta 08 – di cui fu l’anima – raccogliendo ben 303 intellettuali per chiedere democrazia e libertà per la Cina. Dopo la pubblicazione nel 2008 della Carta, altre 8100 persone la firmarono. Come è evidente nel nome scelto, Liu si era ispirato a Charta 77 di Václav Havel e altri intellettuali cecoslovacchi. Fu questa iniziativa a causare la durissima condanna a 11 anni di Liu Xiaobo. Undici anni per aver espresso pacificamente idee di libertà.

In uno dei suoi ultimi saggi, Liu aveva espresso quello che può essere considerata la sua eredità morale: «non ho nemici e nessun odio». In un altro passaggio: «Non vedo l’ora che nel mio Paese ci sia libertà di espressione; dove valori, idee, fedi e opinioni politiche diverse possano competere e coesistere pacificamente». Infine si augurava di essere «l’ultima vittima in Cina del crimine di libero pensiero».

La dissidenza cinese oggi

Da quando Xi Jinping ha preso il potere nel 2013, il partito ha intensificato la repressione nei confronti dei dissidenti. Si è ritornato, per molti aspetti, al clima delle campagne politiche degli anni ’50 e ’60, quando le persone venivano arrestate per la semplice espressione di opinioni contrarie al regime.

Nell’aprile 2013, in corrispondenza al consolidamento del potere di Xi Jinping, è iniziata la repressione verso gli avvocati per i diritti umani. Nel luglio del 2015 più di 300 avvocati e numerosi altri arrivisti furono vittime di una grande azione di repressione, consumata in 709 interventi di polizia. Un certo numero di attivisti sono ancora in prigione e in qualche forma di custodia.

Elencare il nome e le vicende di alcuni di loro esula dallo scopo di questo articolo, che vuole rimanere breve. Basta qui richiamare la figura principale, Xu Zhiyong, 44 anni, che ha scontato quattro anni di reclusione (arrestato nel luglio del 2013), ed è stato liberato lo scorso 15 luglio. È ancora sottoposto a varie forme, illegali, di limitazione della libertà. Xu è il leader degli avvocati per i diritti umani e ha fondato il ‘Nuovo movimento dei cittadini’, un gruppo della società civile in difesa delle vittime di abusi e di ingiustizie. Xu Zhiyong sostiene la non violenza e il rispetto della costituzione cinese, che riconosce – teoricamente – il diritto al voto e alla critica al governo. Xu ha le qualità civili e morali per dare continuità all’eredità lasciata da Liu Xiaobo.

Xu Zhiyong

Nicholas Bequelin, direttore di Amnesty International per l’Asia orientale, uno dei migliori esperti mondiali sui diritti umani in Cina, lo scorso 10 luglio, ha illustrato la tragedia degli attivisti nelle carceri cinesi:

«Il governo cinese ha sistematicamente decimato le fila degli avvocati e degli attivisti per i diritti umani. Questa violenta repressione è segnata da arresti arbitrari, detenzioni incommunicado, torture, maltrattamenti e false confessioni. Le autorità devono smettere di trattarli con crudeltà, loro e loro famiglie. Devono fermare questo tormento e liberare gli avvocati e gli attivisti che sono stati detenuti esclusivamente per aver svolto il proprio lavoro e aver difeso i diritti umani».

Nel 2015 cinque donne, la cui leader è Li Tingting sono state arrestate per aver lanciato una campagna contro le molestie sessuali sui mezzi pubblici. Feng Yuan, attivista per i diritti delle donne, ha messo in rilievo che quello che vogliono le attiviste è esattamente ciò che, a parole, afferma la politica governativa circa le donne.

Una storica dissidente donna, spesso associata a Liu Xiaobo nella stampa internazionale è Ding Zilin, la coraggiosa madre di un ragazzo di 16 anni ucciso dall’esercito nel corso del massacro di Piazza Tienanmen (4 giugno 1989). Ding ha fondato il gruppo di “Le madri di Tienanmen”, che si propone di compilare una lista delle persone uccise nel corso del massacro, e per chiedere alle autorità di riconoscere il crimine compiuto. Vive a Pechino ed è spesso soggetta a misure di arresto domiciliare, di intimidazioni e di impossibilità di incontrare visitatori.

Una recentissima vittima del massacro di Tienanmen è Liu Xiaoming, condannato a 4 anni e mezzo all’inizio di luglio per aver raccontato online la sua esperienza nella sanguinosa repressione del 1989.

Wang Bingzhang

Wang Bingzhang, non tra i nomi più conosciuti, è uno dei prigionieri politici di più lunga detenzione. Ha 69 anni e sta male. Nel 2002 è stato rapito da agenti cinesi in Vietnam, portato oltre confine illegalmente, e tenuto in mano della polizia per sei mesi senza avvisare famiglia o avvocati. La pratica del rapimento di persone e della loro ‘sparizione’ per lunghi mesi si è estesa, purtroppo, anche a Hong Kong nel 2015. Torniamo a Wang: dopo un processo di un giorno, senza famiglia e senza amici, è stato condannato all’ergastolo. Il suo “crimine” è stato quello di aver sostenuto, pacificamente, la democrazia in Cina. Tra i suoi punti di vista ‘criminali’ c’è che la democrazia non è un valore occidentale, ma un desiderio e diritto di tutti gli esseri umani. Anche la famiglia è sottoposta a varie forme di intimidazione, come quella di Liu Xiaobo.

Nell’ottobre 2016 sono stati classificati 8481 casi di imprigionamento in base a idee politiche o religiose. Di questi 1433 persone sono ancora in detenzione, mentre gli altri sono casi di persone imprigionate e poi rilasciate, oppure decedute in detenzione o condannate a morte.

Alcuni dei principali dissidenti sono stati esiliati: secondo il regime cinese i dissidenti, una volta all’estero, perdono la capacità di incidere nell’opinione pubblica interna cinese, che è la cosa che esso teme di più.

Il più conosciuto è Wang Dan, il principale leader studentesco, condannato a 11 anni, esiliato nel 1993 negli Stati Uniti, oggi svolge attività accademica a Taiwan. Ha spesso inviato messaggi alla veglia di commemorazione della strage di Tienanmen che oggi anno si svolge a Hong Kong il 4 giugno. Continua a promuovere la democrazia in Cina attraverso scritti e conferenze in molte parti del mondo.

Il volto femminile della rivolta di Tienanmen, Chai Ling, è negli Stati Uniti. Convertitasi al cristianesimo, si è impegnata per l’abolizione del politica del figlio unico in Cina, ma non ha altri impegni diretti per democrazia in Cina.

Chen Guangcheng

Nell’aprile del 2012 il mondo ha conosciuto la clamorosa vicenda dell’attivista per i diritti civili Chen Guangcheng. Chen, agli arresti domiciliari, era riuscito a raggiungere in modo piuttosto rocambolesco (Chen è non vedente) l’ambasciata americana a Pechino e chiedervi asilo politico. Dopo un complesso negoziato, gli fu permesso di raggiungere gli Stati Uniti. Chen aveva denunciato i metodi violenti, inclusi aborti forzati, utilizzati dai funzionari per imporre la politica del figlio unico.