Al Aqsa, i metal detector e la Gerusalemme dimenticata

Al Aqsa, i metal detector e la Gerusalemme dimenticata

È sparita subito dai notiziari, ma la crisi alla Spianata delle Moschee innescata dall’attacco di venerdì non è affatto conclusa. E tira una bruttissima aria in queste ore a Gerusalemme

 

Qualche mese fa titolavamo la copertina della nostra rivista «Gerusalemme dimenticata». Osservando come – nonostante il conflitto che l’attraversa – la Città Santa sia sempre meno presente nelle agende della diplomazia e nelle stesse cronache internazionali, oggi concentrate su altre priorità in Medio Oriente. Al punto da non riconoscere più quando la tensione tra palestinesi e israeliani supera i livelli di guardia.

Se serviva un’ulteriore conferma l’abbiamo avuta in questi giorni con l’attacco avvenuto venerdì alla Spianata delle Moschee/Monte del Tempio, l’attentato nel quale proprio all’interno del luogo più sacro per i musulmani a Gerusalemme hanno perso la vita due agenti della polizia israeliana (di etnia drusa) e i tre arabi israeliani responsabili della clamorosa azione armata partita dall’interno del recinto sacro. La Spianata – il luogo dove sorgeva il Tempio e oggi sede della Moschea di al Aqsa e della Cupola della Roccia, subito sopra al Muro del Pianto venerato dagli ebrei – è il luogo sensibile per eccellenza a Gerusalemme. E tutti ricordano come la miccia che fece da innesco alla seconda Intifada, nel settembre 2000, fu la provocatoria visita di Ariel Sharon a questo luogo. Anche per questo, dunque, venerdì la notizia dell’attentato è balzata subito in primo piano nei notiziari di mezzo mondo. Tanto più che il governo Netanyahu ha reagito utilizzando le maniere forti: la Spianata è rimasta chiusa per due giorni e ha riaperto solo domenica, dopo che agli ingressi sono stati installati dei metal detector, con l’intenzione di garantire che non possano essere introdotte altre armi nel luogo sacro.

Poi, però, domenica la Spianata ha riaperto e il mondo – che non capisce più le dinamiche complesse di Gerusalemme – pensa che questa crisi sia rientrata o comunque sia stata riportata al solito standard per un posto attraversato da un conflitto che non finisce mai. Ma ci stiamo sbagliando di grosso. Perché intorno ad al Aqsa la pentola a pressione sta continuando a bollire in maniera pericolosissima. Con il rischio concretro che la deflagrazione possa diventare disastrosa.

Da domenica, infatti, la guerra si è spostata intorno ai metal detector, che le autorità del Waqf – l’organismo musulmano che amministra le moschee – non vogliono. Così, spalleggiate dall’Autorità Palestinese, da Hamas e persino dal re di Giordania stanno gridando alla violazione dello status quo, l’equilibrio delicato che regola i rapporti nella gestione dei Luoghi Santi in un posto come Gerusalemme. Per questo è in corso un boicottaggio: da domenica i musulmani non entrano sulla spianata, ma si fermano a pregare fuori, proprio davanti ai metal detector.

Perché tanta opposizione a questi strumenti, che – ad esempio – sono presenti senza problemi nell’accesso al Muro del Pianto? Come spiegava ieri su Yediot Ahronot Nahum Barnea, una delle firme più autorevoli del giornalismo israeliano, c’è una ragione pratica che rende questi strumenti inadatti a controllare gli accessi alla Spianata: l’afflusso della folla è diverso rispetto a quello verso il Muro del Pianto; l’afflusso dei musulmani è molto più concentrato nei momenti della preghiera comunitaria. Dunque al venerdì si profilano grossi assembramenti di fronte al quale l’unica soluzione praticabile – per evitare tensioni incontrollabili – sarà aprire comunque liberamente gli accessi, compiendo controlli a campione. Ma a quel punto a che servono i metal detector?

Ma la questione vera non è quella tecnica: il problema è la questione dell’esercizio della sovranità in un luogo così particolare. Che è poi il nodo di sempre, dal 1967 a oggi. La preoccupazione del governo Netanyahu è logica, ma installare unilateralmente dei metal detector è una cosa che si può fare in un aeroporto o all’ingresso di un centro commerciale; farlo in un luogo sensibile come la Spianata, dove mettere in campo almeno qualche forma di collaborazione con chi sta dentro per garantire l’ordine e la sicurezza è essenziale, altrimenti rischia di diventare controproducente. Questa mediazione finora l’aveva sempre compiuta il regno di Giordania, che per tradizione detiene il titolo di Custode dei Luoghi Santi e (dopo il trattato di pace del 1994) ha anche relazioni diplomatiche con Israele che sulla carta riconoscono questo ruolo. Ma in questo caso – con Washington e la comunità internazionale che non capiscono più la delicatezza di queste situazioni – Netanyahu ha preferito andare dritto per la sua strada mostrando che Israele è pienamente sovrano sulla Spianata. E adesso siamo in pieno braccio di ferro.

Il Waqf continua a invitare tutti i musulmani a non entrare sulla Spianata ma a fermarsi a pregare fuori, in città vecchia. E Fatah – il partito palestinese di cui è espressione il presidente Abu Mazen – ha proclamato per domani una «giornata della collera». Nel frattempo il governo israeliano ha pensato bene di riaprire comunque la Spianata anche ai non musulmani, che non hanno alcun problema a passare (da un ingresso specifico) attraverso i metal detector. Il risultato è che ieri sulla Spianata c’erano solo gli ebrei ultra-nazionalisti che esultavano per il fatto di poter finalmente girare e pregare accanto alle moschee senza nessuno che dica nulla. Hanno anche postato un filmato in proposito, che sta ulteriormente infiammando gli animi a Gerusalemme.

Tira una brutta aria intorno alla Spianata, da troppo tempo lasciata nelle mani degli opposti estremismi che hanno trasformato un luogo di preghiera in una bandiera. Ma il fatto più preoccupante è che il mondo assiste a tutto questo in maniera distratta. Senza capire che così diventa l’alleato più forte dei fanatici, da una parte come dall’altra della barricata.