Anche «Open Doors» contro Trump su preferenza ai cristiani nei visti

Anche «Open Doors» contro Trump su preferenza ai cristiani nei visti

L’osservatorio evangelical che ogni anno stila la lista sui Paesi più a rischio per i cristiani nel mondo critica l’indicazione di Trump sulla priorità nei visti: «Può fare del male alla libertà religiosa anche fuori dall’America»

 

In prima linea nella difesa dei cristiani perseguitati. Ma ugualmente a disagio di fronte all’Executive Order sul blocco dei visti firmato da Donald Trump e (ancora di più) sull’intenzione di dare la priorità ai cristiani nel rilascio dei visti di immigrazione. Dopo le dichiarazioni di questi giorni di esponenti delle comunità cristiane del Medio Oriente – il patriarca caldeo Luis Sako dall’Iraq, il vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo (che è anche presidente di Caritas Siria), il vescovo luterano del Medio Oriente Mounib Younan – a bocciare quest’idea arriva anche un’altra voce molto significativa all’interno del mondo evangelical americano: in una presa di posizione pubblicata dal sito Christianity Today a criticare la scelta di Donal Trump è infatti David Curry, il presidente di Open Doors Usa, la sezione americana dell’ong più attivamente impegnata a livello globale nella denuncia delle violenze contro i cristiani.

Open Doors è l’organismo che ogni anno pubblica la World Watch List, la lista dei cinquanta Paesi nei quali è più pericoloso oggi essere cristiani. L’edizione del 2017 è stata diffusa appena pochi giorni fa e non è certo un documento che minimizza il problema delle violenze contro i cristiani: Open Doors descrive gli ultimi dodici mesi come l’anno più nero delle persecuzioni con ben 215 milioni di cristiani ritenuti a rischio nel mondo.

Ebbene: è interessante che proprio questa voce si schieri con forza contro l’approccio «prima i cristiani nell’accoglienza ai profughi».

«Noi di Open Doors – scrive Curry – riteniamo cruciale che sia garantito ai profughi cristiani e alle altre minoranze in Medio Oriente un canale sicuro per ottenere rifugio negli Stati Uniti. Ma siamo fermi nel difendere un approccio che tratti ogni fede in maniera equa. Non possiamo sostenere l’idea di test di appartenenza religiosa negli Stati Uniti o in qualsiasi altro Paese. Politiche del genere porterebbero a un’orrenda persecuzione dei cristiani da una parte all’altra del mondo. Un processo che dà priorità a una religione sull’altra, come quello proposto dall’amministrazione Trump, potrebbe avere ripercussioni negative non solo in America, ma in tutto il mondo»

«In Medio Oriente è già diffuso il pregiudizio che associa i cristiani agli Stati Uniti o all’Occidente in generale. Il piano di garantire la priorità ai rifugiati cristiani, rifiutando o mettendo in subordine l’ingresso per i musulmani, difficilmente sul terreno migliorerebbe la situazione per le minoranze cristiane di queste aree. Anzi, peggio ancora, potrebbe avere il tragico effetto di un’ulteriore recrudescenza contro i cristiani in Paesi infestati dall’estremismo islamico».

«Open Doors – ricorda David Curry – si occupa di rispondere a 360 gradi alle necessità dei cristiani perseguitati in oltre 60 Paesi del mondo. Ma stiamo facendo anche molto di più: stiamo sostenendo le Chiese perseguitate aiutandole ad essere Chiesa in quelle situazioni, capaci di testimoniare amore e compassione nelle proprie comunità – indipendentemente dal fatto che queste comunità siano formate da altri cristiani, musulmani, indù, yazidi o persone di altre religioni o di nessuna religione affatto. Vediamo ogni giorno il coraggio con cui i cristiani perseguitati rivivono la vita di Gesù. Le loro vite sono un esempio luminoso di quanto Giovanni scrive nella sua lettera: Nell’amore non c’è paura, al contrario l’amore perfetto scaccia la paura».

«Come cristiani americani – continua ancora la riflessione pubblicata su Christianity Today – oggi ci troviamo ad affrontare una serie di misure politiche che probabilmente sono dettate più dalla paura che dall’amore. Per questo incoraggiamo i cristiani americani a guardare alle Chiese perseguitate per trovare un esempio di coraggio inflessibile e amore radicale, rigettando la tentazione di lasciare che sia la paura a dominare le nostre vite. Non dobbiamo permettere alla paura di renderci ciechi davanti alle sofferenze di coloro che appartengono a una fede diversa dalla nostra. Al contrario la nostra fede dovrebbe spingerci a essere i primi a parlare chiaro in favore degli oppressi e di coloro che sono dispersi in mezzo a noi, indipendentemente dalla loro religione o dal Paese di provenienza».
«Se l’amministrazione Trump non vuole commettere errori sulla libertà religiosa – conclude il presidente di Open Doors Usa -, forse il presidente Trump potrebbe cominciare da questo tema cruciale ad applicare il suo slogan “America first“. Non possiamo scendere a compromessi sulla libertà religiosa dentro i nostri confini e poi aspettarci di poter additare alle altre nazioni le loro responsabilità sulla protezione della libertà religiosa. Incoraggiamo l’amministrazione Trump ad affrontare le cause della violenta persecuzione religiosa in atto nel mondo. Il che significa porre il tema della libertà religiosa a livello internazionale al centro della politica estera degli Stati Uniti e assicurare che sosterremo sempre la libertà religiosa anche all’interno dei nostri confini».