Accogliere i profughi? Meglio fermare le guerre

IL COMMENTO:
L’emergenza va riconosciuta: nessuno può essere consegnato alla morte. Ma accogliere i profughi senza fermare le armi è quanto di più ingiusto e inopportuno si possa fare

Chiunque in difficoltà in mare va salvato. Chi è perso per strada va accolto. Chi non ha più casa, possibilità di cure e di mandare a scuola i figli va aiutato. L’emergenza va riconosciuta per ciò che è e nessuno può essere consegnato alla morte. Nel caso delle migrazioni esse a volte sono inevitabili per cause naturali (siccità, terremoti, alluvioni, ecc.). È sbagliato però incentivarle. Ognuno ha diritto a vivere e dare il meglio di sé dove è nato ed ha le sue radici. È ancora più sbagliato naturalmente provocare le migrazioni. E questo è il caso che la cronaca ci presenta in questi giorni. Al punto che di fronte all’attuale ondata migratoria, che travolge da sud il continente europeo viene da dire: chi è causa del suo mal pianga se stesso. Povertà e conflitti ne sono i motivi universalmente riconosciuti. Ma all’Europa che subisce l’invasione disperata spetta al riguardo un serio esame di coscienza.

Tra le cause di povertà dell’Africa e del Medio Oriente ci sono: il secolare sfruttamento coloniale e post-coloniale delle loro risorse, la nostra totale indifferenza e complicità nella sfacciata corruzione di gran parte dei loro leader politici, la cooperazione e l’assistenzialismo occasionale invece di una generale strategia di sviluppo.

Anche tra le cause di conflitto gli interessi esterni non sono di poco conto. Divide et impera è sempre una buona tattica in vista di un controllo prima politico e poi economico sui giacimenti di petrolio, i diamanti e i depositi minerari. La vendita di armi arricchisce ditte, governi e trafficanti ed assicura un salario a molte famiglie in Europa ed in altri Paesi sviluppati. È così strano che essa provochi anche milioni di rifugiati siriani ad alcune decine di migliaia di essi poi prendano la strada dell’Europa? E che dire dell’eterna competizione, anche all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite, tra Stati Uniti, Inghilterra e Francia, da una parte, e Russia e Cina dall’altra? I contrapposti interessi politici, militari ed economici provocano, radicalizzano o prolungano da decenni i conflitti. Il caso siriano è oggi appunto il più evidente e più tragico.

La colpa di quel che succede naturalmente, però, non è tutta nostra. Ogni popolo è in gran parte responsabile del proprio destino. Prendiamo ancora una volta i siriani (o gli iracheni, o i libici, o i congolesi, o i sudanesi, o gli eritrei….). È chiaro che, se si mettono d’accordo tra loro, di armi non ne comprano più e tornano ognuno alle loro case. Ma è l’ideologia politica, religiosa, persino etnica a rendere impossibile un accordo in assenza di una forma di mediazione e pressione internazionale. Poi, tra le cause di povertà, c’è la rassegnazione, il fatalismo ed il timore reverenziale dell’autorità tra i popoli soprattutto africani; mentre la storia insegna che la democrazia ed il controllo sulla gestione e la distribuzione delle risorse e dei proventi non vengono mai dall’alto, ma dal basso. Sono stati i partiti popolari, i sindacati, le rivolte contadine in Europa a sconfiggere il feudalesimo ed assicurare a tutti (o quasi) lavoro, salario e decenti condizioni di vita. I migranti economici cercano altrove ciò che una presa di coscienza sociale e politica e giusti rapporti economici internazionali dovrebbe garantire loro a casa propria.

Il dibattito (a volte il rumoreggiare sguaiato fino agli insulti) di questi giorni di politici e commentatori sull’emergenza migranti ci sta facendo perdere un’occasione tanto semplice quanto preziosa: capire perché veramente le cose accadono, quali sono le responsabilità nostre ed altrui, cosa dovrebbe fare la comunità internazionale perché nessuno si veda costretto o invogliato a lasciare la propria terra e diventare un problema per sé e per gli altri. O forse non abbiamo la vocazione al ragionamento pacato, realistico e costruttivo? Siamo passati in pochi giorni dal rifiuto alle porte aperte. Ma non sarà anche questo un altro segnale di faciloneria, di interessi reconditi (proventi ancora maggiori dalla vendita delle armi o ringiovanimento della popolazione europea), di cattiva comprensione, anche da parte dei governi, dei fenomeni e delle dinamiche internazionali?

Accogliere i profughi senza fermare le guerre, e quindi incentivandone in due modi la fuga ed impoverendo di risorse umane i luoghi e le comunità di origine, è quanto di più ingiusto ed inopportuno oggi si possa fare.