Gruppo Binladen licenzia 77mila lavoratori stranieri in Arabia Saudita

Gruppo Binladen licenzia 77mila lavoratori stranieri in Arabia Saudita

Con il crollo del prezzo del petrolio in crisi anche il gigante delle costruzioni saudita fondato dal padre di Osama Binladen. Licenziati decine di migliaia di lavoratori stranieri che ieri alla Mecca hanno dato fuoco ad alcuni autobus per protestare contro i salari non pagati

 

Da mesi dall’Arabia Saudita arrivano segnali di un’economia che scricchiola. Ma adesso gli efetti del crollo del prezzo del petrolio cominciano a farsi sentire in maniera molto visibile anche là dove fino a ieri sembrava impensabile. Con effetti che rischiano di essere devastanti soprattutto per le centinaia di migliaia di lavoratori stranieri che vivono in Arabia e nei Paesi del Golfo Persico.

È di oggi infatti la notizia che il Gruppo Binladen – uno dei maggiori colossi mondiali dell’edilizia, che con i suoi cantieri sta ridisegnando anche il volto della Mecca – avrebbe licenziato 77.000 lavoratori stranieri. Che vuol dire, grosso modo, un terzo degli operai edili alle proprie dipendenze.  E ad essere toccati non solo i livelli più bassi: secondo una fonte anonima interna citata dall’agenzia Ap starebbero per perdere il lavoro anche 12.000 dei 17.000 sauditi impiegati come ingegneri, amministratori e ispettori sui cantieri.

La vicenda ha anche un risvolto sociale notevole: secondo la legge saudita, particolarmente dura coi lavoratori immigratti, chi perde un ‘occupazione dovrebbe lasciare il Paese. Ma il quotidiano arabo al Watan racconta che ci sono almeno 50.000 operai che si rifiutano di farlo perché rivendicano salari non pagati. E ieri, proprio nel giorno del 1° maggio, hanno messo in scena una protesta clamorosa dando alle fiamme diversi autobus del Gruppo Binladen alla Mecca. Per di più pare che molti dei lavoratori licenziati siano egiziani, particolare che potrebbe ulteriormente acuire le tensioni anche al Cairo.

Va ricordato che la famiglia Binladen è la stessa da cui proveniva Osama, il leader di al Qaeda ucciso dalle forze speciali americane cinque anni in Pakistan. E il fatto che proprio in queste ore la Cia – piuttosto che occuparsi di quanto sta succedendo a Riyad – si trastulli su Twitter a rievocare minuto per minuto il blotz del 2011 la dice lunga su quanto gli Stati Uniti oggi, nonostante il recentissimo viaggio del presidente Obama, abbiano il polso della situazione su quanto sta succedendo in Arabia Saudita.