Papa Stratis, l’«altro» Papa di Lesbos

Papa Stratis, l’«altro» Papa di Lesbos

Il 16 aprile Francesco visiterà i rifugiati a Lesbos insieme al patriarca Bartolomeo. Una visita che avrebbe reso felice Papa Stratis, un sacerdote ortodosso che per anni ha prestato assistenza a migliaia di migranti approdati sull’isola greca, scomparso nel settembre scorso. Ecco la sua storia.

 

È ufficiale: sabato 16 aprile papa Francesco visiterà, insieme al patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, l’isola greca di Lesbos dove vivono migliaia di migranti che sognano l’Europa. Il pontefice vuole esprimere vicinanza ai profughi e non a caso sull’isola potrebbe fare tappa proprio al centro di accoglienza e al porto, come già fece nel suo primo viaggio a Lampedusa.

Da quando quest’estate nelle rotte dei migranti è esplosa la direttrice balcanica abbiamo imparato tutti a conoscere l’isola di Lesbos. Ma erano già anni che lì una presenza amica si prendeva cura dei rifugiati. Un uomo che oggi non c’è più ma che dal Cielo non potrà non gioire in maniera particolare vedendo il Papa e il patriarca di Costantinopoli insieme sulla sua isola.

Stiamo parlando del sacerdote greco ortodosso padre Efstratios Dimou, noto agli amici e ai media come Papa Stratis: un uomo impegnato fin dal 2008 nell’opera di assistenza alle migliaia di migranti che approdano a Lesbos per tentare di raggiungere l’Europa.

La sua è una figura icastica: nelle fotografie il prete è sempre ritratto con un lungo abito talare blu, la coda di cavallo, una folta barba e i sandali ai piedi. In alcuni scatti Papa Stratis fa persino sfoggio della sua bombola ad ossigeno, indispensabile cura per una malattia respiratoria cronica che tuttavia non gli impedisce di lavorare senza sosta per i rifugiati che arrivano a Lesbo dalla Turchia.

«Queste persone non sono migranti – dichiarava in un’intervista la scorsa estate papa Stratis – perché non scelgono di venire qui. Sono figli della guerra, in fuga dai proiettili. Cercano la vita, la speranza e la possibilità di vivere un giorno in più».

Papa Stratis inizia a occuparsi di rifugiati quasi per caso, perché – recatosi per un problema di salute in un ospedale dell’isola – incontra un gruppo di migranti. Fin da subito si rende conto della loro vulnerabilità e decide di aiutarle. Insieme ad altri volontari del villaggio di Kalloni fonda l’organizzazione non governativa Agkalia che in greco significa Abbraccio.

Da allora la sua squadra funziona da pronto intervento per i migranti in arrivo, che ultimamente sono circa 200 persone al giorno. In un’intervista concessa dal sacerdote ad Amnesty International nel 2013 Papa Stratis riassumeva così il suo lavoro: «Appena riceviamo notizia di uno sbarco accorriamo sul posto con cibo e acqua. Diamo supporto immediato e a volte teniamo le persone a dormire da noi: abbiamo materassi sul pavimento. Una delle difficoltà è che queste persone non sanno dove si trovano, alcune pensano di essere in Italia. Molte si ritrovano in mare, lottando contro le onde. Sono bagnate, infreddolite, quasi congelate. Pensano di essere alla fine del loro viaggio ma in realtà non sanno che questo è solo l’inizio.  Oltre al bisogno base di sfamarsi e dissetarsi queste persone hanno il bisogno di credere nuovamente nel prossimo e sperare nel futuro».

In questi anni l’associazione Agkalia ha aiutato – potendo contare solo sulla generosità della popolazione locale – migliaia di persone; precisamente 17mila solo da maggio 2015 quando l’esodo dalla Turchia a Lesbos è aumentato a dismisura rendendo ancora più difficile aiutare tutti.

Ma Papa Stratis ce la faceva e  – con la sua Citroen soprannominata «Tarzan» per la sua capacità di inerpicarsi nelle viuzze più impervie dell’isola – era diventato il buon samaritano dell’isola.

Il 2 settembre 2015, però, a soli 57 anni, il sacerdote dalla lunga barba e il grande cuore è stato sconfitto da una malattia incurabile che se lo è portato via dopo un breve periodo di coma. Pochi mesi dopo, nel gennaio 2016, il Consiglio d’Europa ha insignito l’associazione Agkalia del Premio Raoul Wallenberg per l’«altissimo merito di fornire assistenza in prima linea a migliaia di rifugiati indipendentemente dalla loro origine e religione».

«Il Mar Mediterraneo per me è  il centro della terra  – diceva Papa Stratis – il luogo dove persone di culture differenti si riuniscono per far sapere che tutti hanno il diritto alla vita. È da Lesbo che dobbiamo urlare questo messaggio, un messaggio di amore, pace e dignità».