Un mondo in movimento

Un mondo in movimento

Sono 232 milioni i migranti nel mondo. La maggior parte fugge da guerre e violenze, oltre che dall’estrema povertà e da politiche interne e internazionali irresponsabili. Un esodo senza fine

Dall’Africa all’Asia: «Non possono inondare le nostre coste. Non sono i benvenuti». È la dichiarazione ben poco accogliente del vice ministro dell’Interno della Malaysia, Paese in cui si stanno riversando migliaia di migranti, appartenenti alla minoranza musulmana rohingya, in fuga dalla Birmania. È l’ultima emergenza planetaria, che si è acutizzata lo scorso mese di maggio nel Sud-Est asiatico, dove dal 2012 circa 120 mila rohingya hanno dovuto abbandonare la regione di Rakhine, dove vengono perseguitati dal regime di Yangon; 25 mila sono fuggiti solo negli ultimi cinque mesi, in cerca di un approdo sempre più difficile tra Malaysia, Thailandia e Indonesia. Altri 140 mila sono costretti a vivere in condizioni disumane in campi di sfollati privi di adeguata assistenza. Fanno parte di una vasta marea umana di migranti e profughi che si sposta in cerca di protezione o di una vita migliore in varie parti del pianeta.

MIGRANTI. Secondo le ultime stime dell’Onu, sono 232 milioni i migranti nel mondo, il 3% della popolazione globale. Una sfida planetaria, che riguarda tutti i continenti. Europa e Asia sono quelli con i numeri più alti: rispettivamente 72 e 71 milioni, mentre gli Stati Uniti ne accolgono 51 milioni. Per la stragrande maggioranza (circa 3/4 del totale) si tratta di persone che fuggono da guerre e violenze, da situazioni di crisi e terrorismo o da regimi liberticidi. Non a caso in cima alla classifica dei Paesi da cui si fugge di più troviamo Siria e Iraq, ma anche Afghanistan, Eritrea, Somalia, Nigeria, Sud Sudan, Centrafrica, R.D. Congo… Ma questi dati ci dicono anche che i flussi migratori sono molto più articolati e complessi di come spesso ce li immaginiamo. Insomma, non vengono tutti in Europa e tanto meno in Italia. Il caso del Sudafrica è un esempio emblematico di migranti africani che si spostano in un altro Paese africano. Ma  si potrebbe parlare dei bangladesi che vanno in India o degli indiani che vanno nei Paesi del Golfo; dei filippini che si dirigono a Hong Kong o in Malaysia o di migliaia di asiatici che continuano a cercare di andare in Australia. In America Latina, sono migliaia gli haitiani a Santo Domingo (e due milioni negli Stati Uniti) o i boliviani nel Nord dell’Argentina. Per non parlare di milioni di messicani e centramericani che si sono riversati in America. Per finire con la diaspora cinese che è ovunque. Un altro caso drammatico e paradossale è rappresentato dal Nordafrica. La Libia, tradizionalmente Paese di attrazione di migliaia di migranti subsahariani (e non solo), è diventata, a causa della crisi, un Paese di emigrazione, anche se sul suo territorio continuano a vivere circa 600 mila egiziani (su 6 milioni di libici). Al contrario, la Tunisia, Paese di emigrazione soprattutto verso l’Europa, si è trasformata, suo malgrado, in Paese di accoglienza. Attualmente ospita un milione di libici su 11 milioni di abitanti.

RIFUGIATI. Se insieme ai dati dei migranti tout court guardiamo più nel dettaglio al numero di coloro che fuggono da guerre, violenze, persecuzioni e violazioni di diritti umani – ovvero profughi, richiedenti asilo e sfollati – ci accorgiamo anche qui che, da un lato, c’è un enorme flusso di persone in fuga e, dall’altro, che i Paesi più accoglienti non sono necessariamente quelli più sviluppati. Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur), a fine 2013 nel mondo c’erano 51,2 milioni di migranti forzati, 6 milioni in più rispetto al 2012 e 9,2 milioni in più rispetto al 2011. Di questi, 16,7 milioni sono rifugiati (11,7 sotto il mandato dell’Acnur più 5 milioni di palestinesi). A questi vanno aggiunti 1,2 milioni di richiedenti asilo. Secondo l’Acnur, se questi 51,2 milioni di persone fossero una nazione, sarebbe la 26esima più grande al mondo. Non solo: i numeri del 2013 sono i più alti da quando l’Agenzia realizza sistematicamente statistiche circa le persone costrette a fuggire nel mondo.

Quanto all’accoglienza, il Paese che accoglie il numero più grande di rifugiati è il Pakistan con 1,6 milioni di persone in provenienza in gran parte dall’Afghanistan, seguito da Iran, Libano, Giordania e Turchia. Non seguono come ci aspetterremmo dei Paesi europei, bensì Kenya, Ciad, Etiopia e Cina. Bisogna arrivare al decimo posto per trovare il primo Paese industrializzato, ovvero gli Stati Uniti. Mentre il primo Paese europeo si trova all’undicesimo posto ed è la Francia con , seguita da Germania, Gran Bretagna (126 mila) e Svezia (114 mila). L’Italia è a quota 78 mila. Bisogna dire, tuttavia, che nel 2014, Germania, Turchia, Svezia e Italia (insieme agli Usa) sono i cinque Paesi che hanno raccolto il 60 per cento circa delle nuove domande di asilo: 866 mila.

Ma con le ultime ondate di profughi mediorientali, anche Paesi come il Libano e la Turchia hanno fatto registrare un ulteriore boom di ingressi e di domande. Attualmente in Libano, su una popolazione di 4 milioni di abitanti, ci sono circa un milione e mezzo di siriani. I rifugiati erano 178 ogni mille libanesi, ora sono circa 300 per mille e nelle scuole libanesi ci sono più bambini figli di rifugiati rispetto a quelli delle famiglie locali. In Turchia, il numero dei profughi potrebbe essere raddoppiato nel corso del 2014, anche se il governo non fornisce cifre precise. Altro dato interessante e che fa riflettere, sono i 5 milioni e mezzo di rifugiati sotto il mandato Acnur (46%) che vivono in Paesi dove il Pil pro capite è inferiore a cinquemila dollari l’anno. L’86% dei rifugiati, infatti, è presente in Paesi in via di sviluppo. In molti casi, Paesi estremamente poveri accolgono gente senza nulla.

Un esempio emblematico è il Kenya, dove il 43% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e dove sono presenti due tra i campi profughi più vasti al mondo, quello di Kakuma nel Nord del Paese, con 179 mila profughi, provenienti da una ventina di Paesi, e quello di Dadaab nel Sud, aperto nel 1991 e che ospita circa 530 mila profughi, in gran parte somali (460 mila). In quest’ultimo, si sarebbero registrate infiltrazioni dei terroristi di Al Shabaab, al punto che ora il governo del Kenya, dopo la strage degli studenti di Garissa del 2 aprile, vorrebbe che venisse chiuso. Infine, per quanto riguarda l’America Latina, il Venezuela continua a ospitare oltre 200 mila rifugiati in gran parte provenienti dalla Colombia.

SFOLLATI. Un altro vasto e drammatico capitolo riguarda i milioni di persone che fuggono dalle proprie case, ma non escono dai confini del loro Paese. Secondo il rapporto dall’Internal Displacement Monitoring Centre (Idmc) – il Centro di ricerca del Norwegian Refugee Council (Nrc) – presentato alle Nazioni Unite di Ginevra lo scorso 6 maggio, sarebbero attualmente 38 milioni. Una cifra record. «La peggiore dell’ultima generazione – ha dichiarato il segretario generale di Nrc, Jan Egeland – che segnala il nostro completo fallimento nella protezione di civili innocenti».

Nel 2014, ogni giorno, circa 30 mila persone sono state costrette a lasciare le proprie case, per un totale di 11 milioni di uomini, donne e bambini, che vanno ad aggiungersi a una massa di sfollati, vecchi e nuovi, che spesso vivono in condizioni di grande vulnerabilità. La maggior parte si trovano in Paesi come Siria, R. D. Congo, Nigeria e Colombia. Ma sono almeno 2,2 milioni quelli che lo scorso anno sono fuggiti dalle zone occupate dall’Isis. Attualmente, più di un terzo dei siriani (ovvero 7,6 milioni di persone) è sfollato. Altro caso emblematico è il Sud Sudan, dove la guerra fratricida, scoppiata nel dicembre del 2013, ha già provocato oltre 50 mila morti e 2 milioni e mezzo tra profughi e sfollati. E inoltre ha prodotto circa 4 milioni di affamati su una popolazione di 10,3 milioni. Oggi quasi metà della popolazione sud sudanese rischia di morire di fame. È una delle peggiori crisi alimentari in corso nel mondo. E una delle ragioni principali è proprio il fatto che la popolazione, già poverissima, è stata costretta a fuggire dai villaggi e non ha potuto seminare. Già un paio di raccolti sono andati perduti.

Quanto all’America Latina, il Paese con il maggior numero di sfollati resta ancora oggi la Colombia con circa 6 milioni di persone che continuano a vivere lontane dalle loro case. Il Paese è il secondo al mondo per numero di sfollati interni, anche se la situazione sta migliorando.

«TALE IMPRESSIONANTE numero di persone in fuga anticipa ulteriori esodi – ha dichiarato Volker Türk, assistente Alto Commissario per la protezione dell’Acnur -. Sappiamo che sempre più sfollati sono costretti a fuggire più e più volte all’interno del loro Paese. Quanto più a lungo dura il conflitto, tanto più si sentono insicuri; e quando la disperazione dilaga molti decidono di attraversare le frontiere e diventare rifugiati».

Quanto al segretario generale di Nrc, Jan Egeland, non ha usato mezzi termini per stigmatizzare l’incapacità della comunità internazionale nel prevenire i conflitti e i relativi esodi di persone e nel trovare soluzioni adatte a proteggere milioni di vittime innocenti: «I diplomatici di tutto il mondo, le risoluzioni delle Nazioni Unite, i colloqui di pace e gli accordi di cessate il fuoco hanno perso la loro battaglia contro uomini armati e senza pietà, spinti da interessi politici o religiosi. Dobbiamo interrompere questa tendenza in cui milioni di uomini, donne e bambini rimangono intrappolati nelle zone di conflitto».