Cento anni di missione condivisa

Cento anni di missione condivisa

In questo mese di ottobre ricorre il centenario di fondazione della Pontificia Unione Missionaria, un’opera nata per coinvolgere la Chiesa di base nell’evangelizzazione. Le nuove sfide per il futuro

 

Dall’ufficio sul Gianicolo di padre Fabrizio Meroni del Pime, 53 anni, la vista è mozzafiato su piazza San Pietro. Il Centro internazionale di animazione missionaria (Ciam) costruito dietro il Collegio Urbano e trasferito qui nel 1986 dal Collegio San Pietro di Propaganda Fide ha accolto decine di corsi di formazione, soprattutto nei primi vent’anni. Ora le cose vanno più a rilento, così come avviene per la Pontificia Unione Missionaria (Pum) che si appresta a tagliare il traguardo dei cento anni il 31 ottobre 2016. «La realtà è molto cambiata», dice il segretario generale della Pum e direttore del Ciam, in carica dal primo dicembre 2015.

In che senso padre Fabrizio?

«L’invio di missionari da parte delle Chiese occidentali è molto diminuito o è cambiato. Nello stesso tempo è aumentato l’attivismo delle giovani Chiese fondate dai missionari, che si impegnano anche in Europa e in America. Non possiamo più pensare la Pontifica Unione Missionaria come una realtà essenzialmente “romana” e centralizzata. La Pum deve ripensarsi a servizio della formazione permanente missionaria di tutte le Chiese in stato permanente di missione, avendo come interlocutore privilegiato le nuove Chiese di Africa, Asia ed Oceania».

Ma cos’è la Pontificia Unione Missionaria?

«È un’opera fondata nel 1916 dal beato padre Paolo Manna del Pime con il sostegno di Papa Benedetto XV e di san Guido Maria Conforti, fondatore dei missionari saveriani. Aveva lo scopo di ravvivare la sensibilità missionaria tra i vescovi e i preti (dal 1950 anche i religiosi), perché tutti i fedeli si sentissero missionari.                                                                                                                                                                                                                                        La preoccupazione per l’impegno missionario dei laici era già presente in padre Manna (“tutta la Chiesa per tutto il mondo”), ma a quei tempi il pensiero ecclesiologico enfatizzava l’elemento gerarchico. Il resto del popolo di Dio era visto un po’ in posizione subalterna. La Pum si inserisce nella tradizione delle Pontificie Opere Missionarie, che hanno lo scopo di suscitare e sostenere le vocazioni consacrate e sacerdotali nei cosiddetti “Paesi di missione”,   raccogliere aiuti, pregare per la causa delle missioni»

Come ha operato in concreto per cento anni la Pontificia Unione Missionaria? 

«Attraverso corsi, convegni, ritiri, giornate di spiritualità, visite di missionari alle diocesi, ai seminari, alle comunità religiose. Per anni è uscita anche la rivista Omnis Terra in cinque lingue, che al momento abbiamo sospeso perché occorre ripensarne l’efficacia nella nuova situazione».

Di cosa c’è innanzitutto bisogno

Il baricentro dell’impegno missionario ecclesiale non è più in Italia ed in Europa, dove la Pum è nata, ma nelle giovani Chiese. Queste sono molto numerose, attive e diverse tra loro. Occorre fare lo sforzo di conoscerle, ascoltarle, vedere cosa stanno facendo e di cosa potrebbero avere bisogno, cosa potrebbero offrire alla missione universale della Chiesa. Le proposte e l’identificazione dei bisogni non devono venire dall’alto, ma dal loro interno attraverso l’ascolto e un discernimento comune. I missionari, uomini e donne che fanno della missione della Chiesa il senso della loro vita, sono interlocutori privilegiati di questo ascolto e discernimento assieme alle Chiese locali».

Su quali linee generali state lavorando?

«Ci concentreremo su Asia, Africa ed Oceania, continenti dove la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli ha le maggiori responsabilità. Attraverso le chiese locali lavoreremo anche per un’animazione missionaria nelle Americhe ed in Europa. All’interno delle diverse aree geografiche e linguistiche individueremo quelle Chiese che hanno già raggiunto un “secondo livello” di maturità nella testimonianza cristiana, che cioè sono in grado di riflettere sulla loro esperienza di evangelizzazione e hanno istituzioni valide di insegnamento, produzione di pensiero e ricerca (università cattoliche, istituti di pastorale, di catechesi e spiritualità). Queste Chiese possono diventare leader nella loro area anche per la formazione e la spiritualità missionaria, sviluppare dei programmi, produrre pensiero. Le risorse umane di Europa ed America possono poi inserirsi a complemento in questo sforzo locale, aiutando anche dal punto di vista economico, ma non determinando il cammino e le scelte. Questo è uno sforzo che ognuno deve condurre in proprio dentro un contesto di reale comunione ecclesiale, dove il Papa, attraverso le sue Pontificie Opere Missionarie, svolge un ruolo propulsore di unità e di missione universale permanente».