Il vescovo emerito – e primo sacerdote del Paese – racconta le sfide della società e della Chiesa. Che quest’anno celebra il centenario di monsignor Ferrazzetta
«Vivo nel Centro di spiritualità di N’Dame, a circa 10 chilometri da Bissau, che fu fondato da padre Mario Faccioli del Pime. Mi piace, perché lì posso continuare a incontrare tutti i gruppi che passano …». Da quattro anni monsignor José Camnate ha lasciato per ragioni di salute la guida della diocesi di Bissau, passando il testimone al suo successore, monsignor José Lampra Cà. Ma anche se “in pensione”, Camnate non smette di seguire con attenzione e affetto il cammino del Paese di cui è stato il primo sacerdote nel 1982 e dal 1999 anche il primo vescovo locale.
Lo abbiamo incontrato in Italia, in occasione delle celebrazioni a Verona del centenario della nascita di monsignor Settimio Ferrazzetta, grande missionario francescano che ha gettato le fondamenta della comunità cattolica locale. Un anniversario che anche la Guinea-Bissau sta ricordando in questi mesi come occasione per lasciarsi illuminare su tante sfide impegnative che riguardano l’oggi del Paese.
«Se nel 1977, anno della creazione della diocesi di Bissau, non c’erano nessun sacerdote e nessuna suora locali – spiega il vescovo emerito -, oggi abbiamo quasi 100 preti nati nel Paese e circa 90 religiose. Sono i frutti dei semi gettati innanzitutto da monsignor Ferrazzetta che ha fatto arrivare in Guinea-Bissau tanti missionari, ma allo stesso tempo ha anche mandato in Italia e in Europa moltissimi giovani seminaristi, suore e laici a formarsi al servizio del Paese. Lui, nell’ambito ecclesiale, e Amil Cabral in quello politico (il leader della lotta di liberazione dal dominio portoghese, ucciso nel 1973 pochi mesi prima dell’indipendenza – ndr), incarnavano una leadership visionaria, capace di guardare al futuro, partendo dai valori spirituali, morali e dalla ricchezza umana dei popoli della Guinea-Bissau».
Valori che è urgente recuperare nel contesto delle sfide di oggi. «In tutta l’Africa occidentale viviamo una grave crisi delle leadership – continua Camnate -. La nostra classe politica si lascia tentare dalla ricchezza, dal potere. Il voto viene manipolato: nelle elezioni del giugno 2023 la popolazione si è espressa chiaramente dando la maggioranza a una coalizione delle forze di opposizione, ma il presidente Umaro Sissoco Embaló non ha rispettato questa volontà. Ha avuto paura e ha sciolto il Parlamento. Ora nuove elezioni sono fissate per il 24 novembre, quando scadrebbe anche il mandato del presidente. La gente non vuole più sentir parlare di colpi di Stato: vuole che il suo voto sia rispettato».
Alla mancanza di leadership si ricollega anche l’aumento della povertà: «La disorganizzazione sociale la pagano i più fragili – commenta -. Ad esempio, con la diminuzione delle piogge i contadini non riescono a produrre il necessario per la sopravvivenza; avrebbero bisogno dell’aiuto del governo nella selezione delle sementi più adatte, ma nessuno lo fa. Così i giovani emigrano nei centri urbani, e nelle campagne rimangono solo gli anziani».
C’è poi la sfida del radicalismo religioso islamico, che cresce alimentato da Paesi e organismi che lo finanziano: «Le nostre Chiese devono formare meglio i sacerdoti e approfondire la conoscenza dell’islam per favorire il dialogo, come si sta già facendo in Senegal. La fortuna della Guinea-Bissau è che i suoi popoli mantengono grande attenzione alla dimensione religiosa della vita e questo facilita il dialogo tra tutti: cristiani, musulmani e fedeli delle religioni tradizionali africane. Questo legame ci permette di dire: siamo fratelli perché siamo figli dello stesso Padre, che cosa possiamo fare insieme? Il Documento sulla Fratellanza umana firmato nel 2019 da Papa Francesco e dall’imam di al-Azhar è pane quotidiano nel nostro contesto. Un anziano che segue la religione tradizionale africana e il cui figlio è entrato in seminario mi ha detto: “Ti ho affidato mio figlio, sei tu il suo papà”. Vuol dire che nella sua ricerca di Dio vede nel cristianesimo un proseguimento della sua fede. Non si sente minacciato, al contrario, è convinto che il legame spirituale rimanga».
Riconoscersi fratelli chiede però anche di fare davvero i conti con le ferite del recente passato: «Tutti in Guinea-Bissau hanno coscienza della necessità di una commissione per la riconciliazione nazionale – sostiene il vescovo emerito – basata su verità e giustizia riguardo alle violenze politiche compiute dall’indipendenza a oggi. Il Parlamento l’aveva già istituita quindici anni fa, ma è rimasta lettera morta. Si tratta di un altro nodo irrisolto che frena il Paese. Ed è una responsabilità di fronte alla quale la Chiesa non può tirarsi indietro».
«Il motto episcopale di monsignor Ferrazzetta era “La verità vi farà liberi” – ricorda Camnate -. È diventato il versetto della Parola di Dio più conosciuto in Guinea-Bissau. La gente dice: “Noi guineani abbiamo paura della verità, per questo non riusciamo a risolvere i nostri problemi”. Così la testimonianza di un pastore è diventata luce per tutto un popolo».