«Sono cristiano, sono prete, e vivo in un Paese musulmano. Non ho paura. Perché?». Dall’Algeria la riflessione di un missionario del Pime in queste ore drammatiche
Nel novembre del 1975, in seguito alla cosiddetta “Marcia verde”, il Marocco “invade” i territori del Sahara Occidentale, costringendo alla fuga migliaia di saharawi, che continuano a vivere – quarant’anni dopo – nei campi profughi nel deserto algerino. Dimenticati da tutti
La missione non è ideologia. Lo dice chiaramente Papa Francesco nel messaggio per la prossima giornata mondiale del 18 ottobre, quando si chiede: “Chi sono i destinatari privilegiati dell’annuncio evangelico?”. E indica la risposta, che “è chiara e la troviamo nel Vangelo stesso: i poveri, i piccoli e gli infermi, coloro che sono spesso disprezzati e dimenticati, coloro che non hanno da ricambiarti”.
Non strutture, ma minuscole comunità, disperse nell’immensità del deserto algerino. È la Chiesa del Sahara, dove la fede di nutre di essenzialità e di dialogo con l’islam. Parola di Claude Rault, vescovo di Laghouat–Ghardaïa.