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“Caccia al diavolo”, tre mesi dopo

Tre mesi dopo

La mia ultima scheggia era intitolata “Devil Hunt”, cioè “caccia al diavolo”. Caccia proclamata dal governo per controllare l’ordine pubblico, sconvolto da proteste di ogni genere, ma specialmente dalla delinquenza comune – che approfitta delle incertezze del corpo di polizia, accusato di stragi e violenze, e dello stato di semi-anarchia in tutto il Paese si trova, per moltiplicare furti, sequestri, omicidi, vendette personali o di gruppo… Si trattava di una “Caccia al diavolo” al di là delle differenze politiche.

Non dubito che ci siano stati tentativi di realizzare questo intento. Gli arresti sono stati molto numerosi. Dunque, a che punto siamo, dopo tre mesi?

Difficile dirlo. Temo che il diavolo non abbia sofferto molto a causa di questo provvedimento preso da un governo per natura sua debole, e costretto ad una “neutralità” politica che necessariamente significa anche una drastica riduzione della possibilità di decidere.

Le tante divisioni emerse fra coloro che al momento di rovesciare il governo (luglio 2024) sembravano uniti, compatti e solidali, non si sono ricomposte. Ovviamente è fondamentale la questione della data delle elezioni, questo evento “magico” che dovrebbe segnare il passaggio ad un Bangladesh democratico, giusto, libero dal “fascismo” (sic) e dalla corruzione. Ma quando – meno di un anno fa – i leader della rivolta popolare, soprattutto gli studenti, si accordarono per proporre a Mohammad Yunus di svolgere il ruolo di “Primo consigliere” di un consiglio che non aveva poteri, si era anche detto che prima di passare alle elezioni sarebbe stato necessario fare le opportune riforme, per non ripetere esperienze elettorali di dubbio valore. D’altra parte si diceva anche che le “vere” riforme per avere autorevolezza devono essere elaborate da un’autorità eletta dal popolo. Yunus e il suo consiglio dovevano dunque riformare… ma non troppo, prendendo il tempo necessario… ma non troppo, in modo imparziale… ma non troppo (unica cosa chiara: non doveva prendere in considerazione le opinioni dei perdenti!).

E allora ecco le tensioni: dicembre 2025 o giugno 2026? Recentemente Tareque Rahman, l’arcinemico di Hasina, figlio di Khaleda Zia, da tempo in volontario esilio per sfuggire a una sentenza di condanna per cui sarebbe stato arrestato – in qualità di pro-segretario del partito nazionalista, in occasione di una visita di Junus a Londra lo ha incontrato, e i due hanno concordato di realizzare le elezioni in aprile; scontentando gli altri partiti, non coinvolti nella decisione.

Molto discussa è stata la messa al bando del partito Awami League e anche il problema di fare estradare Hasina per processarla. Si dice che siano stati identificati almeno 6 luoghi di detenzione segreti, in cui venivano trattenute le persone fatte “scomparire” senza accuse né arresti ufficiali. Alcuni a volte “ricomparivano”, ma non conosco alcun caso in cui, ritrovati, abbiano detto qualcosa a proposito della loro esperienza: bocca saldamente cucita con metodi – presumo – efficaci… Ma l’India ha fatto capire che l’estradizione non si fa, e intanto Hasina – rifugiata in India – continua  a mandare messaggi e appelli con pesanti critiche a tutto ciò che sta avvenendo. Modi – primo ministro indiano – ha risposto a Yunus, che chiedeva di metterla a tacere, dicendo che non può farci nulla: chi controlla i “social media”?. I rapporti India-Bangladesh non sembrano dei migliori, e includono le reciproche accuse di discriminazioni nei confronti delle minoranze: cioè dei musulmani in India e degli indù in Bangladesh… Migliaia di sostenitori dell’Awami League, compresi sindaci di città importanti, deputati al parlamento, burocrati, imprenditori, si sono eclissati temendo rappresaglie. Chi ha potuto è andato all’estero. La visita di Junus a Londra è stata occasione per proteste di molti bengalesi fuggiti in Gran Bretagna, che gli rinfacciano come ingiusta la decisione di abolire il partito e la demonizzazione dei suoi sostenitori, che comporta anche vendette personali, e accuse senza fondamento, che hanno l’unico scopo di creare difficoltà. Mi pare di rileggere alcuni libri di Paolo Pansa su episodi del post-fascismo in Italia…

Se l’Awami League ha perso la sua legittimità, il Jamaat-ul-Islam l’ha ritrovata. Era stato messo al bando in quanto sostenitore del terrorismo, ma ora è stato nuovamente legalizzato e sostiene con energia – anche se, pare, senza estremismi – l’ispirazione islamica delle leggi e delle politiche governative.

Modi e Yunus hanno comunque affermato di voler favorire rapporti buoni fra India e Bangladesh, senza insistere su temi conflittuali.

Si è pure avviata la revisione di numerosi processi passati: i tribunali rivedono, assolvendo quelli che erano stati condannati (fra cui l’ex presidente del Consiglio Khaleda Zia e il figlio Tareque Rahman, accusatidi corruzione) e condannando quelli che erano stati assolti. Il che non offre molti motivi per fidarsi dell’indipendenza della magistratura… I processi attuali comprendono innumerevoli denunce fatte per creare problemi ai denunciati, pur sapendo di non avere prove, e magari denunciando episodi semplicemente mai accaduti, e firmate da persone che non ne sanno nulla…

Forse in un momento di sfogo, Yunus, dopo aver ancora una volta ribadito che assolutamente non intende entrare in politica in modo stabile, né avere un ruolo nel prossimo governo eletto, ha anche affermato che è diffusa ovunque l’opinione secondo cui il governo è comunque un “nemico” e la causa di tutti i mali del Paese. La critica al sistema corrotto, che s’infiltra anche nelle operazioni più semplici e normali della vita civile, riguarda sempre e solo le colpe “degli altri”; e pare che le “loro” colpe servano egregiamente a coprire le proprie…

Forse sono pessimista, ma non riesco a veder emergere un’opinione pubblica convinta che si debbano “svelenire” i rapporti, e far pulizia in casa se si vuole arrivare a cambiamenti significativi…

Un problema che certamente non è solo del Bangladesh, ma che qui è indubbiamente molto acuto.

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