Una Pasqua oltre i muri di un mondo chiuso

EDITORIALE
La mano tesa a incontrare e accogliere l’altro è la cifra della missione cristiana

 

Le immagini di Papa Francesco in Iraq, qualche settimana fa, restano fortissime per il valore in sé di quel viaggio, ma anche per ciò che ha significato in questo contesto di pandemia. In un momento in cui è “vietato incontrarsi”, il nostro Papa è andato verso un mondo diverso e culturalmente lontano come quello iracheno. E lo ha fatto con i suoi gesti semplici, ma carichi di senso, quasi a dire: la situazione vorrebbe portarci a creare solchi sempre più profondi, ma la direzione proposta da Cristo è opposta. Uomini, donne, culture, religioni, Stati e governi non possono non incontrarsi.

Questo segno forte del Santo Padre cade in un momento in cui tutto sembra parlare di chiusura dentro confini sempre più limitati. Il Myanmar sta vivendo settimane difficili a causa di un apparato militare che vuole riprendere il potere dopo un decennio di cammino verso la democrazia e la libertà civile. L’India vive un processo involutivo del proprio contesto democratico, mentre Hong Kong combatte contro lo scivolamento verso restrizioni sempre maggiori, a discapito di libertà e diritti. Il Laos è un Paese ermeticamente chiuso dal 1975, ma nessuno mai ne parla. In Thailandia vige un regime militare e il Vietnam continua a essere gestito da un governo comunista che non conosce pluralismo, in cui la Chiesa vive fortissime restrizioni, volte a soffocare la sua vitalità. La Cambogia viene inglobata, giorno dopo giorno, dal gigante cinese. E ho parlato solo di Asia e del contesto che conosco meglio.

Di tutti questi Paesi il nostro mondo occidentale non dice pressoché nulla. Indaffarato a guardare se stesso sotto l’ombra del Coronavirus e di poche altre dinamiche di politica casalinga, non si interessa a questi processi internazionali pericolosissimi, che la pandemia ha acuito. Oggi avere un visto per operare nei Paesi menzionati sta diventando sempre più difficile, quasi impossibile se chi lo richiede è un missionario. Di fronte a questo scenario i cristiani dove sono? Si preoccupano delle Chiese sorelle che stanno soffrendo in questi contesti? Sono spesso minoranze sparute che vivono con convinzione la loro fede che li rende diversi dal resto della società. Se il mondo si divide, la Chiesa si deve sentire una, unita in Cristo sempre. E là dove un solo fratello o sorella soffre, la preghiera, il conforto, la consapevolezza e anche la richiesta di difesa e protezione da parte di tutti gli altri non possono mancare. Una parola di fratellanza, un gesto di comunione, una preghiera di unità possono abbattere le divisioni. Perché la nostra fede è molto più forte del potere mondano e politico. Per questo guardiamo al viaggio del Papa come a un gesto profetico a cui nessuno di noi si può sottrarre.

La mano tesa a incontrare e accogliere l’altro è la cifra della missione cristiana. Padre Giovanni Tulino da Ta Khmau e tutto questo numero della rivista ce lo raccontano molto bene. Il tempo pasquale che stiamo vivendo sia un tempo di autentica comunione nel Risorto come segno contrario a ogni muro.