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La nuova pagina evangelica di Papa Giovanni

«In ogni tempo i santi hanno sfogliato una pagina del Vangelo e l’hanno resa evidente ai loro contemporanei. Da san Benedetto e san Francesco fino a madre Teresa e padre Pio essi erano come la scia ininterrotta di una cometa alla cui origine vi è la luce incandescente portata da Gesù. Essi sono i veri saggi, coloro che, alla luce del Vangelo, trasformano la realtà di questo mondo, i veri rivoluzionari che mettono in atto la rivoluzione che viene da Dio, la rivoluzione dell’amore». Conclude papa Benedetto a Marienfeld: «In Gesù Cristo è comparso il vero volto di Dio». Loris Capovilla, segretario di Papa Giovanni, nella prefazione al libro di padre Francesco Valsasnini, Pime, su  Giovanni XXIII, e dal quale prendo alcune note, scrive: «Anche per merito suo, i padiglioni della Chiesa Cattolica si sono ingranditi, non tanto, né primieramente nel significato statistico delle conversioni, quanto piuttosto della conversione nostra ad una più radicale fedeltà al Vangelo, d’ un interessamento più vivo alle necessità dei popoli sottosviluppati; della conversione delle nazioni tentate di accontentarsi  del solo progresso economico e tecnico, ad un’ansia più cocente di incontro, di interscambio, di amicizia con tutte le genti». Aveva fondato tutto il suo apostolato sul “centro” del Vangelo: l’amare tutti come Dio li ama. Il suo metodo diplomatico era quello della carità evangelica. Delegato in Bulgaria e Visitatore apostolico in Turchia e Grecia, visse i tempi in cui si consideravano scismatiche le chiese ortodosse, ma lui le amò. Andò subito a salutare gli ortodossi e assistette alle loro liturgie. Fu richiamato da un addetto del Vaticano per troppa confidenza con scismatici. Reagì così: «Gesù mi dice di amare anche i nemici, questi non sono nemmeno nemici e quindi continuo ad amarli». Il genio di Papa Giovanni fu di aver capito i “segni dei tempi” e di avere un sguardo positivo sulle realtà umane. Martin Buber direbbe: «Prima di distruggere gli idoli che gli uomini si sono costruiti, cercare quell’aspetto della divinità che volevano rappresentare, offrirla loro, e gli idoli cadranno da sé». Volle un Concilio pastorale, cioè di rinnovamento della Chiesa e non di condanna di errori. Distinguere il buono dal falso. Più passano gli anni e più si vede l’ampiezza dei benefici che il suo atteggiamento ha avuto nella Chiesa e nell’ecumenismo. L’azione più decisiva in questa direzione avvenne quando stava preparando il Concilio. Nel marzo 1960 incarica il cardinale Augustin Bea alla creazione di un organismo tutto nuovo, destinato a stabilire relazioni con le Chiese non cattoliche. Sottraeva al sant’Uffizio la competenza sui rapporti tra i cattolici e gli altri cristiani, spingendo così verso il superamento dell’attitudine di diffidenza, quando non di ostilità, che dal XVI secolo caratterizzava l’atteggiamento romano verso eretici e scismatici. Si riconosceva così l’esistenza di elementi di autenticità evangelica anche fuori dalla Chiesa cattolica. «Perché tanti uomini di ogni Paese hanno condiviso il dolore della Chiesa cattolica piangendo alla sua morte?». Il cardinale Roger Etchegarai ha risposto: «Il motivo è che essi si sono sentiti non solo toccati, ma coinvolti; é che avevano colto che egli, alle loro domande, aveva offerto la limpida luce di una risposta semplice e vera. Il suo segreto, nato dalla sua natura e dalla sua fede, fu di dimostrare che la tradizione non è nemica, ma il trampolino di audacia apostolica. Nella sua enciclica Pacem in terris, vedeva la morale dei diritti umani come il riflesso dell’acqua calma delle sorgenti originarie, e non attraverso lo specchio spesso deformante del ribollire della storia».  

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