Marocco: mai più condanne a morte per chi abbandona l’islam
In Marocco, chi vuole uscire dall’Islam, non rischia più la condanna a morte. Il Consiglio superiore degli Ulema, massima autorità religiosa del Paese, apre alla possibilità di conversione ad altre religioni. Ne dà notizia il sito Morocco World News. Secondo le regole in vigore in tutti i Paesi musulmani, l’apostata è condannato a morte. È vietato anche fare proseliti tra i fedeli di Maometto, se si è di altre confessioni. Ma la fatwa degli Ulema marocchini intitolata “La via degli Eruditi” supera uno dei nodi cruciali dell’Islam, in linea con un paese che rispetta da sempre il pluralismo religioso e che, per volere del re Mohammed VI ha deciso di muovere guerra all’estremismo.
Così alcuni giornali mercoledì scorso, 8 febbraio 2017. Il giorno dopo, solo qualche giornale continuava a commentare la notizia. Nel Corriere della Sera, Renzo Notoli ha scritto: «La questione della pena per chi abbandona volontariamente l’islam è tutt’altro che chiara ed esplicita nel Corano e nella tradizione islamica». Gli altri giornali non ne parlano più: notizia “usa e getta”.
Sarà interessante seguire la situazione del Marocco e di altri Paesi per capire bene il cammino di tante persone nella globalizzazione attuale di convivenze, incontri, scambi di ogni genere. Non si tratta solo di “conversioni”, ma soprattutto di ritorni profondi a riscoprire le radici e le ispirazioni profonde delle religioni. Papa Francesco nella capitale della Bosnia Erzegovina ha detto: «Il dialogo interreligioso, prima di essere discussione sui grandi temi della fede, è una conversazione sulla vita umana».
In questo momento, il fenomeno è vasto e profondo. Nella rivista “Mondo e Missione” (marzo 2015) nell’articolo “Il Corano rivisto dalle donne”, leggiamo: «Di fronte alle sfide, spesso drammatiche, dell’attualità, molte teologhe musulmane portano avanti un’opera di interpretazione e attualizzazione dei Testi sacri. Perché “il vero problema è l’ignoranza”, come spiega l’iraniana Shahrzad Houshmand. Stiamo attraversando un momento buio, affrontiamo eventi che ci spiazzano, eppure il Corano ci ricorda che – sempre – laddove c’è una difficoltà, proprio lì si annida una “facilità”, ossia la possibilità di un’evoluzione positiva».
Ines Peta, martedì 7 febbraio 2017, nella rivista Oasis scrive: «Il Corano non prescrive alcun castigo terreno per chi abbandona l’islam, rimandando all’aldilà la punizione di Dio». Nel suo articolo interessante riporta il pensiero dell’egiziano Ahmad Subhî Mansûr (n. 1949) che nel suo testo Hadd al-ridda analizza il concetto di “apostasia”. Tale diritto – avverte Mansûr – spetta però soltanto a Dio: né il Profeta né tantomeno i credenti possono giudicare la fede altrui, come mostrano chiaramente i versetti coranici riguardanti l’atteggiamento da adottare nei confronti dei diversi gruppi umani: ahl al-Kitâb (“gente del Libro”, ossia sabei, ebrei, cristiani), mushrikûn (“politeisti”) e munâfiqûn (“ipocriti”). Una buona conoscenza delle diverse religioni, ci permetterà di capire, dialogare, riuscire a condividere il cammino della nostra esistenza ormai comune.Articoli correlati
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