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Yaoundé, piccola Roma?


Il Camerun è una Africa in miniatura. Il quartiere Nkolbisson di Yaoundé è chiamato il “piccolo Vaticano”, una piccola Roma. Molte congregazioni religiose vi risiedono nella loro casa di formazione con persone di molte nazionalità. I saveriani, poco distanti dal nostro seminario del Pime, oltre a camerunesi, hanno studenti messicani e già due diaconi indonesiani. I carmelitani hanno camerunesi e centrafricani. Noi abbiamo studenti di quattro nazionalità. Anche le religiose, comprese le nostre Missionarie dell’Immacolata, hanno trovato a Yaoundé un nido tranquillo dove formare postulanti e novizie di vari Paesi. Ma mentre le vocazioni maschili sono ancora in aumento in Africa, quelle femminili sono molto diminuite. Questione di promozione umana per i primi… di servizio per le seconde?

Con l’aumento di persone di varie nazionalità, sono nate iniziative di collaborazione tra istituti e congregazioni, come ad esempio la scuola filosofica di Mukasa, a cui partecipano studenti di 20 congregazioni e i superiori tengono incontri regolari per scambi di esperienze e di iniziative comuni a carattere formativo e ricreativo. Si sta pensando di unire ulteriormente gli sforzi per l’accoglienza di studenti che arrivano per imparare il francese affinché possano studiare la lingua e insieme qualche materia di università per un miglior utilizzo del tempo. Il Camerun è bilingue, ma in realtà, l’inglese quasi non esiste e il francese è male parlato. Si fanno anche sforzi per lo studio di alcune lingue locali. Il Camerun ne ha 15; alcune, come il fulfuldé del Nord, il béti del Sud, l’arabo ciadiano del vicino Ciad e qualche altra lingua necessitano di una vera e propria scuola, che comprenda anche la conoscenza di quelle culture.

Incontrando saveriani, carmelitani e altri religiosi, si constata che il livello degli studi è buono. La conversazione poi arriva al rapporto tra clero locale e clero straniero. Dall’epoca degli anni Settanta, in cui il filosofo Fabien Eboussi Boulaga aveva pensato al Moratorium – cioè alla partenza dei missionari stranieri – si è giunti a promuovere una convivenza, sostenuta e incoraggiata dall’arcivescovo di Yaoundé Jean Zoa, voluto vescovo dal santo Papa Giovanni XXIII e partecipante al Concilio.

Ora, per la presenza consistente delle università e delle case di formazione, la convivenza, anche se a volte difficile, diventa non solo una necessità, ma anche una opportunità per la cattolicità e l’universalità della Chiesa, e per l’apertura di tutte le mentalità. Alcune case di formazione dirigono una parrocchia. I fedeli incontrano spiritualità differenti e più consolidate. La convivenza diventa ricchezza per tutti.

Avendo il Camerun e alcuni Paesi vicini, università di vario indirizzo, alcune congregazioni fanno continuare gli studi accademici ai loro membri in Africa e non più solamente all’estero o a Roma. E la direzione generale di alcuni istituti è già nelle mani di un africano.

Preparandomi a ritornare a Yaoundé  e così contribuire alla formazione del Pime futuro, mi è capitato in mano il libro “Francesco, il Papa delle prime volte” di Gerolamo Fazzini e Stefano Femminis con la prefazione di Federico Lombardi che dice: «Le Chiese “giovani” hanno molto da dare alla Chiesa universale». Questi nostri studenti, appartenenti alle Chiese giovani, non solo sono la continuità della Chiesa, ma apporteranno novità di vario genere anche dentro il vero  spirito missionario.

 Allora il prossimo papa sarà africano? Perché no!

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