«Io sono Malala»: ora è anche un film
Il racconto della ragazzina pakistana premio Nobel per la Pace 2014 è diventato anche un film documentario che ora arriva nelle sale italiane. Raccontando anche il suo volto da teenager come gli altri, dietro all’icona globale
«Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo». Parola di Malala Yousafzai, premio Nobel per la Pace 2014, la studentessa pakistana che il 9 ottobre 2012 fu vittima di un attentato da parte dei talebani nello regione dello Swat. La sua colpa? Essersi battuta per difendere il diritto allo studio delle ragazze. La sua storia di estremo coraggio, raccontata nel libro Io sono Malala scritto con la giornalista Christina Lamb, adesso è diventato un film documentario con lo stesso titolo a opera di Davis Guggenheim, appena uscito anche nelle sale italiane. Il regista ha frequentato per diciotto mesi la famiglia Yousafzai, che attualmente vive in Inghilterra. Malala, che quest’anno ha compiuto diciotto anni, ha lasciato il suo Paese per ricevere cure mediche adeguate, ma su di lei incombono ancora minacce di morte da parte degli estremisti islamici. Ha dovuto scegliere la strada dell’esilio, proseguendo in parallelo gli studi e il suo impegno per l’istruzione femminile attraverso il “Malala Fund”, di cui è co-fondatrice. In veste di ambasciatrice dei diritti delle ragazze, nel film la vediamo in Kenya a incoraggiare le studentesse africane a inseguire i loro sogni, in Nigeria con i familiari delle ragazze rapite da Boko Haram e con i profughi siriani, a denunciare la perdita del diritto di andare a scuola di tre milioni di bambini in tre anni di guerra.
Brillante, pluripremiata e ricevuta dai potenti del mondo – da Obama a Ban Ki-moon – Malala rischia di risultare forse un po’ antipatica, come tutti i primi della classe. Invece, il film Io sono Malala di Davis Guggenheim le fa giustizia, restituendoci l’immagine di una ragazzina sicuramente intelligente e volitiva, ma non diversa dagli altri teenager. A casa litiga con i due fratelli Khushal e Atal, su internet guarda con curiosità mista a un pizzico di imbarazzo le foto dei campioni sportivi e confessa senza problemi che la scuola inglese è per lei più complicata, tant’è che non riesce più a ottenere i voti più alti come avveniva in Pakistan.
È un film da mostrare sicuramente ai bambini e ai ragazzi, perché ritrae un’adolescente come loro, diventata un’eroina per caso, solo perché era giusto che qualcuno si opponesse alla follia di un mullah che ha fatto saltare in aria quattrocento scuole. «Volevano che le ragazze non studiassero, perché l’istruzione ti fa criticare le cose e metterle in dubbio, ti rende indipendente», racconta Malala.
Perché Malala, perché proprio lei? È una domanda che sorge spontanea: in Pakistan ci sono milioni di ragazze, ma è stata la sua voce a rompere il silenzio e a far conoscere, anche attraverso un diario-blog sul sito della Bbc (firmato con uno pseudonimo) la situazione critica delle studentesse nello Swat dopo la presa di potere dei talebani. Il film di Guggenheim suggerisce una risposta. Non ci sarebbe stata una Malala senza l’appoggio dei suoi genitori Ziauddin, insegnante e preside, e Tor Pekai, la madre che le scuole non le ha frequentate, perché da bambina vendette i suoi libri per una manciata di caramelle e abbandonò gli studi, senza rendersi conto della gravità del suo gesto. «Dov’è mio padre?» è stata la prima frase pronunciata da Malala nel 2013 nell’ospedale di Birmingham, appena uscita dal coma, dopo vari interventi subiti in seguito all’attentato. Ziauddin ha sempre incoraggiato le scelte di Malala, e rimanendo al suo fianco le ha insegnato a non avere paura.

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