Donatori di storie
Una mostra, nello spazio espositivo del Centro Pime di Milano, propone una selezione delle più recenti e significative donazioni di privati, che raccontano mondi lontani. Resterà aperta sino al 7 gennaio
Donare storie, e in particolare la propria storia o una parte di essa, per arricchire il portato umano, civile e artistico di un patrimonio è senz’altro un grande gesto di generosità, a cui corrisponde l’accoglienza da parte di chi riceve e garantisce la propria cura e professionalità nella custodia e nella valorizzazione. Per questo l’Ufficio Beni Culturali del Pime ha scelto di dedicare un’esposizione temporanea, piccola ma ricca di significato e di bellezza, alle persone che nell’ultimo decennio hanno contribuito ad arricchire il patrimonio dell’Istituto, rendendolo vivo e dialogante.
“Donatori di storie. Un viaggio tra generosità e cultura” è appunto il titolo dell’esposizione, allestita presso lo Spazio mostre del Centro Pime, che propone un assaggio delle donazioni recenti e maggiormente significative a opera di privati. Una selezione di una cinquantina di pezzi, tutti finora custoditi nei depositi e mai mostrati: oggetti artistici, libri, materiale fotografico, lettere e documenti che raccontano di generosità e passione e che, nonostante e grazie alla loro diversità, si inseriscono naturalmente nelle collezioni del Museo, della Biblioteca, dell’Archivio fotografico e storico del Pime. Beni di culture lontane che non vogliono restare solo privati ma regalarsi a un pubblico più ampio.
Il viaggio è la dimensione più raccontata nelle storie custodite dalla mostra, che resterà aperta fino al 7 gennaio ed è visitabile dal lunedì al sabato (h 10-18). Quella in cui si inseriscono ad esempio alcuni oggetti che provengono dalla lontana Nuova Guinea: uno scudo, ornamenti da naso, una testa kus in legno, ossia una maschera di sostituzione che ha preso il posto delle vere teste un tempo tagliate dai cacciatori; o una rara borsa fatta di ossa, chele, denti e unghie di animali ancora intrisa dell’odore acre del fumo, dono di un gruppo di appassionati viaggiatori e studiosi. Due preziosi oggetti cultuali arrivano invece dalla Cina e dal Niger, frutto dei viaggi effettuati nella seconda metà del ’900: una giara funeraria cinese in grès porcellanato del XII-XIII secolo e una imponente stele funeraria del Niger, appartenente alla cultura Bura-Asinda-Sikka (IV-VII secolo).
Così i ripiani delle vetrine e le dimensioni ridotte delle pareti diventano spazi immensi che accolgono vite e percorsi di migliaia di chilometri, esperienze e luoghi lontani, un patrimonio sì immateriale ma tanto più vero e ricco perché profondamente parte dell’umano.
Altre volte i beni donati sono stati il frutto di un sogno condiviso, come raccontano gli oggetti asmat portati da Mariangela Fardella e Giorgio Azzaroli dall’Indonesia: centinaia di opere lignee acquistate per essere conservate e valorizzate e poi diventate due generose donazioni fatte sia al Pime sia al Museo dei missionari saveriani di Parma.
Non mancano in mostra anche alcuni beni di famiglia, tolti dai luoghi quotidiani per essere messi a disposizione di un pubblico più vasto, come un obi (la tradizionale fusciacca giapponese indossata principalmente con i kimono) in broccato di seta del 1950 o una coppia di graziose bambole giapponesi degli anni Trenta del ’900, delicatissime nei volti di polvere di conchiglia e nella leggerezza dei tessuti indossati. Anche statuette degli anni Sessanta in argilla decorata con minuzia e grande originalità dagli indios karaja del Brasile arricchiscono l’esposizione, eredità paterna generosamente condivisa con il Pime.
Alcuni donatori hanno accompagnato nel tempo la storia dell’Istituto. Giulia Marzotto con il suo lungo percorso di studio e di amore per la Cina ha lasciato alcuni oggetti e soprattutto un patrimonio di migliaia di beni librari e materiale fotografico, oltre a tante schede di catalogo compilate con pazienza grazie a una vecchia macchina da scrivere, documenti ancora oggi parte dell’archivio del Museo e fonte di insostituibili informazioni per ricostruire la storia del suo patrimonio.
Maria Ranghino è stata una traduttrice e una appassionata viaggiatrice, che abbiamo avuto la fortuna di incontrare all’inizio degli anni 2000. Ci ha lasciato recentemente una ricca collezione di molas, tessuti splendidamente decorati dalla popolazione kuna di Panama, e di dipinti del naïf sudamericano carichi di colore e vita, oltre a gioielli e tessuti dell’Asia centrale, maschere africane e vetri dipinti. Tanto preziosi quanto i suoi racconti ricchi di umanità e intelligenza.
Più recentemente Riccardo Scotti ha donato un’intera collezione di circa 400 dipinti del Barocco andino contemporaneo: centinaia di angeli, madonne e santi sfavillanti nell’oro e nella ricchezza delle loro tele, accompagnati da una grande documentazione storico artistica, frutto di studi appassionati e di vita vissuta.
E ancora piccoli oggetti in avorio, una lettera e delle poesie racchiuse in un libriccino, miniature indiane e un dipinto tibetano con informazioni mediche e astrologiche riempiono lo spazio espositivo con il loro portato di bellezza e ricordi. Beni che nelle nostre intenzioni vogliono soprattutto raccontare una lunga storia di incontri, portare il sapore intenso di viaggi, sogni, progetti e avventure. Solo così infatti gli oggetti non restano “cose” ma diventano uno scrigno che custodisce tesori e racconti di vita. Un patrimonio umano e culturale messo a disposizione di tutti. Ringraziamo di cuore i nostri donatori di storie!
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