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Il mio impegno per una Siria unita

Si ispira a padre Paolo Dall’Oglio Hind Kabawat, unica donna e unica cattolica nel “Comitato dei sette” voluto dal presidente ad interim per far ripartire il Paese, poi nominata ministro del Lavoro e degli Affari sociali

È l’unica donna e l’unica cattolica nel “Comitato dei sette” voluto dal presidente siriano ad interim Ahmad al-Sharaa. È un ruolo cruciale e di grande responsabilità quello che Hind Kabawat sta svolgendo in questi mesi di difficile e delicata transizione dal regime di Bashar al-Assad a una Siria che, almeno sulla carta, si vorrebbe più democratica, inclusiva e guidata da ideali di giustizia. Una sfida ancora più in salita dopo le gravi violenze che a inizio marzo hanno colpito la minoranza alawita e anche alcuni cristiani, provocando secondo le stime un migliaio di vittime.

La sua visione, Kabawat l’aveva respirata da quello che definisce il «nostro mentore»: padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita, fondatore della comunità monastica di Mar Musa, scomparso nel luglio del 2013. «In noi è ancora vivo il ricordo di padre Paolo e siamo molto felici che uno dei suoi fedelissimi, padre Jihad Youssef (attuale priore della comunità – ndr), sia all’interno dell’organismo che si occupa del dialogo nazionale. Lo spirito di padre Paolo era di costruire ponti, non muri. La sua opera è ancora viva fra noi, dal primo giorno ci siamo ispirati ai suoi principi cristiani, per un vero dialogo nazionale».

È quello che oggi questa donna di 51 anni – proveniente da una famiglia inter-confessionale con il padre greco-cattolico e la madre greco-ortodossa – sta cercando di fare, in un momento storico davvero cruciale per il futuro del Paese e di tutta la regione. L’esperienza e le competenze non le mancano: laurea in economia a Damasco e in giurisprudenza a Beirut, ha un master in Relazioni internazionali negli Stati Uniti e una specializzazione in Risoluzione di conflitti e strategie di negoziazione a Toronto, in Canada, e ad Harvard. Cura il programma Interfaith Peace­building del Center for World Religions, Diplomacy and Conflict Resolution (Crdc) della George Mason University ed è stata vice-direttrice dell’ufficio di Ginevra dell’ex High Negotia­tions Committee. «Sono stata scelta per il “Comitato dei sette” – precisa lei stessa – per la mia decennale opera nel campo della mediazione e della risoluzione dei conflitti. Ma anche perché, sin dal 2011, dall’inizio della Rivoluzione siriana, sono stata a fianco del popolo con gli oppressi contro l’oppressore, aiutando la gente in special modo le donne e i giovani».

Fra i tanti nodi irrisolti che oggi il Paese si trova ad affrontare ci sono le sanzioni internazionali, la ricostruzione di una nazione devastata dalla guerra, i rapporti di forza con la minoranza curda nel Nord-est e le relazioni internazionali, a partire dall’attivismo militare di Israele. In questo contesto si è conclusa la prima parte dei lavori della Conferenza nazionale, presenti oltre 600 persone; nella nota finale i partecipanti hanno evidenziato l’importanza di un territorio unito, armi ed esercito sotto il controllo dello Stato e la necessità di accelerare l’iter verso la nuova Costituzione. «Dobbiamo iniziare sin da subito a delinearne i principi, assicurandoci che non vi siano vuoti nel nostro sistema e che il nuovo governo sia davvero inclusivo».

«Ogni gruppo etnico e ogni religione devono far parte del processo – aggiunge -. Non solo: vogliamo almeno il 30% di donne all’interno dei vari organismi, a partire dalla Costituente. La Siria non può affrontare la ricostruzione di uno Stato senza le donne: sono parte della società, devono essere presenti in ogni ambito della vita, da quello economico a quello politico», ci dice Hind Kabawat, che ha grandi visioni e speranze per il suo Paese, ma anche molta lucidità nell’analizzare una situazione difficilissima. «Come Conferenza nazionale abbiamo cercato di fare del nostro meglio, in un Paese che è stato rovinato da oltre 14 anni di guerra. È un lavoro molto duro quello di mettere assieme centinaia di persone a rappresentare ogni regione e città, ogni gruppo etnico e religione, e anche uomini e donne».

Non sarà facile garantire inclusione e diversità in un processo politico e istituzionale. La sua presenza tuttavia dimostra che, perlomeno, c’è la volontà di provarci. «Essere donna e cristiana è importante, ma lo è ancora di più essere siriana. C’è bisogno di tutti e tutte le voci devono essere rappresentate», insiste.
E poi c’è da rimboccarsi le maniche. La Siria è in una situazione economica catastrofica. Il Paese è praticamente in bancarotta, non ci sono soldi da investire e le sanzioni internazionali pesano come un macigno sulla ricostruzione. «L’80% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà – precisa -; e la maggioranza sono donne e bambini. Vi è poi la questione degli sfollati interni. Senza dimenticare i gruppi legati al vecchio regime che cercano di creare problemi e la difficile ripresa delle relazioni internazionali. Dobbiamo aprire la porta della diplomazia e costruire ponti con le altre nazioni».

Quella della sicurezza, inoltre, è un’altra grande incognita, con il Nord-est del Paese – l’area a maggioranza curda – tuttora instabile e le Alture del Golan che Israele cerca di occupare. Per non parlare delle gravi violenze settarie, con attacchi  alle minoranze. «Dopo tutti questi anni di guerra, quasi mezzo milione di morti e milioni di sfollati – riflette Hind Kabawat -, ci può essere un desiderio di vendetta, col rischio di ulteriore sangue versato. Ma governo e società civile stanno lavorando duramente per scongiurare ulteriori conflitti. Dobbiamo continuare a mantenere questo approccio, cercare di preservare la nazione e il suo popolo dalla logica della vendetta, perché è il solo modo per andare avanti».

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