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Icona decorativaIcona decorativa28 Ottobre 2025 Anna Pozzi

In Italia e nel mondo con il “fuoco dentro”

Testimonianze di impegno e solidarietà accanto alle persone più vulnerabili. Sono le quattro realtà riconosciute con il Premio “Fuoco Dentro” 2025: l’ong New Humanity International legata al Pime, Neve Shalom Wahat al Salam, Casa Zoe della Cooperativa Farsi Prossimo di Caritas Ambrosiana e padre Angelo Cupini e la Comunità di via Gaggio-La Casa sul Pozzo di Lecco. E saranno premiate al Teatro Pime l’8 novembre alle 21

Uno sguardo al territorio, l’altro al mondo. Lo stesso impegno nel cercare di dare risposte a istanze di dialogo, solidarietà e pace. Un’energia che riscalda e che illumina. Anche quest’anno, il Premio “Fuoco dentro”, promosso dall’arcidiocesi di Milano, insieme all’associazione Elikya e in collaborazione con il Centro Pime, va a persone e associazioni che testimoniano di una possibilità di resistere al male e di promuovere il bene, mettendosi in gioco in questo nostro mondo ferito da guerre, crisi, violenze e incongruenze, e abitandolo con saggezza e nella gioia piena.

L’idea, ispirata da un’omelia dell’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, si è tradotta in un primo riconoscimento in memoria dell’ambasciatore Luca Attanasio, ucciso nel febbraio del 2021 in Repubblica Democratica del Congo. Dall’anno successivo, si è strutturato in un vero e proprio Premio, che il prossimo 8 novembre, alle ore 21, al Teatro Pime di Milano, verrà consegnato, in una serata di testimonianze e musica, a quattro realtà: Neve Shalom Wahat al Salam, l’ong New Humanity International, padre Angelo Cupini e la Comunità di via Gaggio-La Casa sul Pozzo, e Casa Zoe della Cooperativa Farsi Prossimo di Caritas Ambrosiana.

Quella di Neve Shalom Wahat al Salam è una sfida e una testimonianza nel cuore di Israele che, a cinquant’anni dalla nascita, ha ancora oggi un valore profetico. Fondata agli inizi degli anni Settanta dal domenicano padre Bruno Hussar (1911-1996) – ebreo, nato in Egitto, cittadino israeliano e prete cattolico – porta avanti, a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv, il sogno del profeta Isaia: «Il mio popolo abiterà in una dimora di pace» (Is. 32,18). “Dimora di pace”, che in ebraico suona appunto Neve Shalom e in arabo Wahat al Salam. Ancora oggi questo villaggio, abitato da ebrei israeliani e palestinesi, è un luogo di incontro, dialogo e vita vissuta insieme, in una terra così terribilmente segnata dalla guerra e dalla divisione. La scuola ha avuto un ruolo fondamentale nell’educare generazioni di bambini e ragazzi in classi bilingue e binazionali. Bambini arabi ed ebrei imparano a crescere insieme in un incontro quotidiano non privo di fatiche e che non rinnega la storia e la cultura di ciascuno, ma le mette in dialogo con quelle dell’altro.

Ha un orizzonte internazionale anche l’impegno di New Humanity International, l’ong legata al Pime, che è presente in Myanmar, Tunisia e Camerun. Ed è soprattutto nell’ex Birmania che sta portando avanti i progetti più significativi (e difficili) in una terra tragicamente segnata dalla guerra civile scoppiata nel 2021 e da un susseguirsi di catastrofi naturali. New Humanity opera in particolare a sostegno di persone con disabilità che, già prima del conflitto, erano vulnerabili e marginalizzate e lo sono diventate ancora di più dopo. In quest’ottica si inseriscono anche il lavoro di formazione di counselor e il sostegno psicologico a persone con stress post traumatico. Inoltre, realizza progetti di sviluppo integrato nei settori agricolo, sanitario e sociale. New Humanity è intervenuta anche dopo l’alluvione del 2024 che ha costretto oltre 600 mila persone a fuggire dalle loro case e dopo il devastante sisma del marzo 2025 che ha provocato migliaia di morti e 1,6 milioni di sfollati.

Operano invece in un contesto italiano, ma con un’attenzione ai temi delle migrazioni e della tratta di esseri umani – e dunque a fenomeni globali – la Comunità di via Gaggio-La Casa sul Pozzo di Lecco e Casa Zoe della Cooperativa Farsi Prossimo.

Fondata nel 1975 dal clarettiano padre Angelo Cupini per rispondere alle istanze che emergevano da giovani ai margini e tossicodipendenti, la Comunità di via Gaggio ha intercettato nel tempo nuovi bisogni e nuove questioni, ma sempre con un occhio di riguardo per i giovani e un’attenzione particolare alla Parola – secondo il carisma clarettiano – e alle parole, «che dobbiamo imparare a dire alle persone che abitano il territorio», dice il religioso. Nata a Malgrate, in un appartamento di via Gaggio (da cui il nome), da circa vent’anni si è trasferita nel quartiere di Chiuso, a Lecco, dove ha sede in una casa costruita su un pozzo (da cui il nuovo nome). Qui i giovani che frequentano la comunità, costituita da tre clarettiani e animata da una cinquantina di volontari, sono soprattutto adolescenti immigrati, che condividono il pranzo quotidiano e il doposcuola, seguiti in maniera molto personalizzata grazie al progetto Crossing. «Continuiamo a lavorare attorno a quel verbo che il cardinale Martini ci ha consegnato – dice padre Angelo -: non tollerarsi, ma fermentarsi reciprocamente».

Questo stesso spirito anima anche Casa Zoe, che è innanzitutto un luogo di accoglienza, condivisione e protezione di donne straniere vittime di tratta, ma anche di incontro e dialogo, per ricostruire fiducia e avviare percorsi di reinserimento socio-lavorativo. La dimensione della casa è garantita innanzitutto dalla presenza di una famiglia, quella di Daniela Barone e Diego Marovelli e dei loro quattro figli, Marcos, Marisol, Inès e Giosuè. Dopo una lunga esperienza in Bolivia con l’Operazione Mato Grosso, hanno deciso di rimettersi in gioco come “famiglia missionaria a Km0”, «con la porta aperta agli altri e un’attenzione quotidiana verso chi si trova in difficoltà», dicono. Le loro vicine di cortile sono tre suore di tre congregazioni diverse. Insieme, provano «a essere un punto di riferimento per le donne accolte e un appoggio alle educatrici che cercano di accompagnarle verso una vita migliore».

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