Kenya ad alta tensione
Sono settimane di scontri e violenze in Kenya, dove le forze dell’ordine hanno represso brutalmente le manifestazioni antigovernative, provocando morti e feriti. E alimentando ulteriore malcontento
Una quarantina di persone sono state uccise e centinaia sono rimaste ferite durante le proteste di lunedì 7 luglio in Kenya, in occasione del Saba Saba Day. A riportarlo è la Commissione nazionale keniana per i diritti umani (KNCHR), la cui sede è stata essa stessa presa di mira. Le manifestazioni, guidate dal movimento Gen Z e diffuse in 17 contee del Paese, hanno scatenato una violenta repressione da parte delle forze dell’ordine. La maggior parte delle vittime ha meno di 25 anni.
Il Saba Saba Day è la giornata istituita in memoria delle persone scomparse durante le lotte per le elezioni libere del 1990. “Saba Saba” significa in kiswahili “Sette Sette”, in riferimento alla data divenuta simbolo del passaggio dal sistema monopartitico al multipartitismo (il 7 luglio, appunto).
Durante le manifestazioni, la capitale Nairobi è stata completamente blindata dalle forze dell’ordine. Diversi episodi violenti sono stati ripresi dalla televisione nazionale, mostrando gang armate utilizzare fruste e machete contro i manifestanti. Secondo le testimonianze raccolte dalla KNCHR, i gruppi ribelli hanno agito anche al fianco della polizia, soprattutto a Nairobi ed Eldoret. Molti giornalisti presenti sul luogo delle proteste sono stati a loro volta presi di mira. Ma il 7 luglio è stato solo il culmine delle tensioni che erano cresciute durante il mese di giugno, quando molti giovani sono scesi in piazza, a un anno esatto dalle proteste contro la draconiana legge finanziaria imposta nel 2024 (e poi ritirata) dal presidente William Ruto. L’introduzione di nuove tasse, infatti, avrebbe messo ulteriormente in ginocchio la popolazione del Paese, già impoverita da anni di Covid e di crisi economica interna e internazionale. Il Kenya inoltre ha un debito pubblico che corrisponde al 70% del PIL, e sono circa sette milioni i giovani disoccupati. Sono stati proprio loro, sia lo scorso anno che in queste settimane a guidare le proteste. A cui hanno partecipato in modo trasversale persone di ogni età, professione e classe sociale. Anche nel 2024 ci furono almeno 60 morti e centinaia di feriti.
Su una delle locandine portate per le strade quest’anno si legge “Justice 4 Our Mashujaa”, dove “Mashujaa” significa “eroi” in kiswahili. La reazione della polizia è stata anche questa volta feroce, passando dai lacrimogeni alle granate stordenti, fino all’utilizzo di armi da fuoco. Durante gli scontri, diversi media sono stati oscurati e le immagini delle proteste sono state divulgate tramite canali non ufficiali. La KNCHR ha denunciato anche l’arresto di circa 200 persone.
Secondo Amnesty Kenya, le manifestazioni erano iniziate pacificamente, sia a Nairobi che a Mombasa, nel sud del Paese. L’escalation delle violenze sarebbe avvenuta quando alcune delle persone tra la folla avrebbero attaccato una stazione di polizia, commesso incursioni nei supermercati e si sarebbero avvicinate eccessivamente alla State House, dove risiede il Presidente. L’episodio ha probabilmente riportato alla memoria l’attacco al Parlamento avvenuto lo scorso anno.
Tra i motivi che hanno infervorato la mobilitazione popolare c’è stata anche un’altra vicenda. Il 6 giugno, Albert Ojwang, 31 anni, insegnante conosciuto per le sue nette posizioni politiche, è stato arrestato e pochi giorni dopo è morto nel commissariato dove era detenuto. Il fermo era avvenuto a seguito dell’accusa di aver scritto false informazioni sul conto di Eliud Lagat, vice capo della polizia nazionale. La causa del decesso è stata attribuita al suicidio: Ojwang si sarebbe autoinflitto delle ferite mortali sbattendo ripetutamente la testa contro le sbarre della sua cella. L’autopsia ha però successivamente rivelato che le lesioni non erano compatibili con la versione delle autorità. Da qui, la condanna della procura, che ha dichiarato colpevoli sei persone, tra cui tre poliziotti che si sono però sempre detti innocenti.
Il ministro dell’interno Kipchumba Murkomen ha accusato i manifestanti di voler tentare «un cambio di regime», attraverso un «terrorismo travestito da dissenso». Secondo l’attivista e fotoreporter Boniface Mwangi, l’accusa del governo «è solo un modo per distogliere l’attenzione dalle vittime e da ciò che sta accadendo».
Arresti arbitrari, sparizioni forzate ed esecuzioni extra giudiziarie non sono rari nel Paese, e sono in molti a chiedere giustizia. Le persone si sentono inascoltate dal governo, che continua a reprimere ogni forma di dissenso. Due giorni dopo il Saba Saba Day, il presidente William Ruto ha dichiarato che «chiunque danneggi negozi e altre proprietà durante le proteste va sparato alle gambe, così da immobilizzarlo».
Morara Kebaso, leader del movimento civico Inject, in un video pubblicato su X negli scorsi giorni ha assicurato: «Le proteste non potranno far altro che continuare, finché ci saranno milioni di persone senza un lavoro e finché il governo si rifiuta di agire».
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