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Messico: orrore per la scoperta di un campo di sterminio

Padre Omar Sotelo, sacerdote e giornalista messicano, commenta la macabra scoperta che testimonia, una volta di più, la mancanza dello Stato e lo strapotere dei “cartelli” della droga

«La scoperta del campo di sterminio nello stato di Jalisco in Messico, mostra come lo Stato sia oramai alla deriva. Il ritrovamento del ranch Izaguirre a Teuchitlán è un chiaro esempio delle criticità che stiamo vivendo». Padre Omar Sotelo, sacerdote e giornalista messicano, è lapidario nella descrizione del momento che sta attraversano il suo Paese. Il ritrovamento di un campo di sterminio, da cui emergono anche tracce di tortura, ha lasciato la popolazione sgomenta. Centinaia di scarpe di uomini, donne e bambini e tante ossa, testimoniano l’orrore vissuto da centinaia di persone. Quello che doveva essere un deposito per allevatori e agricoltori nel deserto era invece un luogo di morte.

Il moltiplicarsi di avvenimenti sempre più violenti sembra essere giunto a un punto di ritorno: «La società civile sta facendo ciò che il governo ha smesso di fare per ottenere giustizia e verità», afferma padre Sotelo, che è anche direttore del Centro cattolico multimediale, un istituto di ricerca e comunicazione. «Nonostante le promesse, le campagne di informazione, gli impegni e gli accordi, terribili notizie continuano a emergere con crudeltà inumana». Già nell’aprile del 2017, la Commissione nazionale dei diritti umani (Cndh) aveva presentato il Rapporto speciale sulla scomparsa di persone e fosse clandestine in Messico. La riflessione riguarda anche il silenzio che per anni è stato opposto ai ripetuti appelli a vigilare sul doloroso tema dei desaparecidos.

«Quel vastissimo documento, frutto di 102 proposte – ricorda il sacerdote – è stato indirizzato a diversi segretari dell’amministrazione pubblica federale, oltre che ai rappresentanti di governo, a governatori degli Stati, a diverse autorità di vari livelli, titolari di procure generali e statali, indicando le allarmanti cifre sulle sparizioni che dal 2009 al 2017 erano in aumento costante». Il ritrovamento di cadaveri e frammenti umani, segno dell’esistenza di fosse clandestine, avrebbe richiesto un’indagine immediata e approfondita per salvare altre vite in pericolo in mano alla delinquenza organizzata.

Dopo sette anni tutto sembra peggiorare, osserva il sacerdote «Perché si è arrivati a questo stato di cose? I difensori dei diritti umani concordano nel sottolineare che l’impunità e la corruzione sono tra le cause maggiori della deriva sociale in cui affonda il Paese». A ciò vanno aggiunti anche la solitudine e l’abbandono di coloro che ricercano i loro cari. «I familiari delle persone scomparse sono costretti a ricorrere a organismi e a istanze internazionali per ottenere ciò che in Messico per loro è negato». E mentre l’impegno nella lotta al crimine è quasi inesistente, i “cartelli” si dividono il Paese, arruolando giovani dalla frontiera nord con gli Usa a quella sud con il Guatemala: un sistema che cresce quasi incontrastato, uno stato nello stato, in cui il vuoto è colmato dal potere delle armi.

La notizia del campo di sterminio ha fatto il giro dei media e anche delle parrocchie. La Conferenza episcopale messicana ha aperto una seria riflessione. «L’episcopato ha dichiarato che non bastano le buone intenzioni – ricorda padre Omar -. In un messaggio in merito all’esistenza del ranch Izaguirre, hanno manifestato il loro dolore. Mentre si presume che gli omicidi diminuiscano del 15%, si dimentica che aumentano del 40% le sparizioni. Purtroppo la maggior parte di queste vittime sono i nostri giovani». Secondo il sacerdote – che con il Ccm continua a comunicare verità scomode della società messicana – il contrasto al crimine non basta: serve un profondo cambiamento di mentalità per abbattere un sistema corrotto e decadente.

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