Filippine, la corruzione che ipoteca presente e futuro
Gli scandali legati alla corruzione di politici e funzionari rischia di alimentare il conflitto tra il presidente Marcos e la vice-presidente Duterte. La sfida delle presidenziali del 2028
Il 23 e il 30 novembre scorso la Chiesa cattolica nelle Filippine ha chiamato la gente alla mobilitazione pubblica contro la corruzione politico-amministrativa. Domenica 16 novembre lo aveva già fatto la piccola ma potente setta della Iglesia ni Kristo. Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza a causa delle tangenti sui lavori pubblici pagate a politici e amministratori di ogni livello, ma soprattutto parlamentari, senatori e forse lo stesso presidente Ferdinand Marcos Jr. Nell’occhio del ciclone in particolare le infrastrutture per il controllo delle inondazioni a causa di tifoni, quest’anno di nuovo particolarmente violenti. Non si tratta solo delle percentuali scandalose (fino al 75% del bilancio per questi lavori) sottratte da politici e imprenditori tra i più in vista del Paese, ma anche del lusso sfrenato che poi questo denaro consente e che alcuni degli illegittimi beneficiari hanno cominciato a esibire in pubblico e particolarmente sui social; quando in interi sobborghi di Manila la gente ancora vive in condizioni precarie, a volte con l’acqua alle ginocchia, in mezzo ai topi, e con gli scarichi ostruiti. Il Presidente Marcos è stato il primo a gridare allo scandalo mettendosi in testa alla crociata anti-corruzione. Ha costretto alle dimissioni il cugino presidente del Parlamento e diversi altri. Ha spostato ai Lavori Pubblici il Ministro della Sanità, Vincent Dizon, ritenuto persona onesta ed efficiente. Ma le accuse sono pesanti anche contro il Presidente. Le mazzette sarebbero state consegnate in contanti per anni in decine di valigie ad almeno una cinquantina di leader nazionali di cui il principale accusato e accusatore ha fatto i nomi da una segreta località estera. Marcos e il ministro Dizon assicurano che ci sarà gente in carcere per Natale. Forse. Ma un conto sono le rivelazioni, le accuse, le prove anche evidenti, quello che tutti dicono di sapere, un altro i tempi e le esigenze di un valido procedimento giudiziario. Si tratterebbe di indagare e istruire un processo a centinaia di persone coinvolte in un sistema consolidato ed accettato di spartizioni, appalti truccati, lavori realizzati sotto qualità che dura da sempre e ora è diventato insopportabile.
La cosa rischia invece di alimentare il conflitto già aspro tra il presidente Marcos e la vice-presidente Sara Duterte, figlia di Rodrigo, predecessore di Marcos (2016-’22) e ora detenuto presso la Corte Penale Internazionale dell’Aja a causa delle numerose uccisioni a seguito della sua guerra al narcotraffico. Sembra prevalere l’interesse per la stabilità fino alle elezioni presidenziali del 2028, ma tutto è possibile: dimissioni di Marcos con il passaggio dei poteri alla Duterte o un intervento dei militari nel caso di seri rischi per la stabilità sociale. Sviluppi drammatici simili a quelli recenti in Bangladesh, Nepal e Madagascar non sono esclusi. I critici più attivi, però, e soprattutto la Conferenza Episcopale Cattolica, insistono per «stanare i topi senza bruciare la casa». Dal punto di vista politico non amano né Marcos né Duterte. Sperano in un terzo candidato per le presidenziali del 2028. Ma Sara Duterte è molto popolare. Ma al di là della politica e delle candidature, la domanda che rimane senza risposta è come sia possibile che la corruzione, l’avidità, il materialismo la facciano da padrone in un Paese che appare così devoto, cristiano e cattolico da cinquecento anni.
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