Leone XIV, nel segno della pace e della libertà

Un Papa missionario. È la prima volta nella storia. Un Papa che la missione l’ha vissuta in prima persona e a lungo. E questo – pensiamo – fa la differenza. Ascoltalo anche in PODCAST
Leone XIV è un Papa missionario. Il primo nella storia della Chiesa. Come vescovo di Chiclayo, nel Nordovest del Perù, si è speso per raggiungere la gente nei villaggi più remoti, a piedi o a cavallo, come i nostri vecchi missionari. Robert Prevost la missione l’ha vissuta in prima persona, a lungo, come ragione di vita. Questo fa differenza.
La missione è il suo programma. L’ha affermato sin dalla prima sera, e poi ribadito nella bella omelia di inaugurazione del suo Pontificato. Nella visione missionaria che fu di Francesco, Leone dice che la Chiesa non vuole catturare gli altri «con la propaganda religiosa o con i mezzi del potere», ma amare come ha fatto Gesù. «Questo è lo spirito missionario che deve animarci, senza chiuderci nel nostro piccolo gruppo, né sentirci superiori al mondo; siamo chiamati a offrire a tutti l’amore di Dio, perché si realizzi quell’unità che non annulla le differenze, ma valorizza la storia personale di ciascuno e la cultura sociale e religiosa di ogni popolo». La Chiesa missionaria «apre le braccia al mondo, annuncia la Parola, si lascia inquietare dalla storia, e diventa lievito di concordia per l’umanità».
La grazia del Battesimo, nel quale riceviamo il nome stesso di Cristo, è il fondamento della pari dignità dei credenti e della loro partecipazione nella stessa missione, come pietre vive della Chiesa. L’autorità conta meno, Leone l’ha affermato chiaramente. Il Papa non è un sovrano, e non agisce da solo. Anzi, come ha detto davanti ai cardinali, «è un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità di sparire perché rimanga Cristo». È un programma luminoso e controcorrente, in un mondo dominato dalla violenta volontà di potenza.
La prima parola del Papa è stata pace: la stessa pronunciata da Gesù risorto e risuonata nella notte del suo Natale. Una parola qualificata con aggettivi molto evocativi, come disarmata e disarmante. Ha scelto il nome Leone, in riferimento a Leone XIII, il Papa che ha “inventato” la dottrina sociale per rispondere alle sfide della rivoluzione industriale. Leone vuole affrontare la travolgente rivoluzione dell’intelligenza artificiale, che ha profonde conseguenze antropologiche e sociali, proponendo al mondo la giustizia sociale, la dignità umana e la centralità del lavoro. Nell’incontro con i giornalisti e con il corpo diplomatico ha affrontato anche il tema della libertà d’informazione e religiosa. Mi ha colpito in particolare l’appello per i giornalisti imprigionati. Vuol dire che ama la libertà, in tutte le sue declinazioni.
Credo che, oltre al dichiarato riferimento a Leone XIII, abbia scelto un nome inatteso anche come atto di personalissima e intima libertà. Lo conosceremo. A me sembra un uomo e un Papa che vuole essere sinceramente libero e autenticamente se stesso
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